Le sentenze dei Giudici di Pace: inefficacia e pericolosità dei vaccini

di Marco Schiavi

IL CONSOLIDAMENTO DELL’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE

Le sentenze del Giudice di Pace di Monza, dottoressa Gabriella Bovolenta, in data 1 giugno 2023 e di Fano, dottor Pericle Tajariol in data 28 luglio 2023, si inseriscono in un filone giurisprudenziale già percorso dalla dottoressa Zanda del Tribunale civile di Firenze e dal dottor Cruciani del Tribunale penale militare di Napoli, di cui riprendono le argomentazioni.

La giurisprudenza che ha affrontato criticamente le numerose questioni poste dalla normativa “COVID” (vaccinazione, green pass, sospensione dal lavoro e di ogni emolumento, sanzione pecuniaria) ha seguito diversi approcci:

– sollevare questioni di legittimità costituzionalità di grande rilevanza, ma ritenute infondate o inammissibili  dalla Corte Costituzionale con le sentenze numero 14, 15 e 16 dell’1 dicembre 2022;

– interpretare le norme in maniera “costituzionalmente orientata”, in particolare con riferimento alle tematiche del lavoro che hanno privato il lavoratore sospeso per mancata vaccinazione anche dell’assegno alimentare, pervenendo ad attribuire al lavoratore il predetto assegno;

– verificare l’esistenza e la consistenza dei “presupposti scientifici” richiamati ed utilizzati dal legislatore e valutare le conseguenze in caso di loro accertata inesistenza, con particolare riferimento all’accertata inidoneità della vaccinazione ad impedire il contagio ed agli effetti avversi;

– ritenere sussistenti gli estremi della scriminante dello stato di necessità e assolvere da ogni responsabilità, sia quanto alle conseguenze penali che a quelle amministrativo-sanzionatorie;

– richiamare norme comunitarie o internazionali ritenute di immediata e diretta applicazione, nonchè prevalenti rispetto alla normativa interna contrastante e che viene, pertanto, disapplicata.

Questi tre ultimi approcci appaiono allo stato produttivi di interessanti sviluppi interpretativi e si caratterizzano per due presupposti:

– ritenere prive di rilevanza le citate sentenze numero 14, 15 e 16 della Corte Costituzionale, in quanto mere sentenze di rigetto che, da un lato non impediscono la riproposizione delle questioni di legittimità costituzionale e, dall’altro, non possono pretendere la funzione di nomofilachia che l’ordinamento assegna alla sola Corte di Cassazione;

– rivendicare un rilevante sindacato del giudice ordinario sui “presupposti scientifici” della normativa COVID, in particolare finalità, efficacia ed effetti avversi della vaccinazione, nella convinzione che la discrezionalità politica del legislatore non impedisca tale sindacato da parte dell’autorità giudiziaria e che tale sindacato non sia di competenza esclusiva della Corte Costituzionale.

La lettura congiunta delle due sentenze ne evidenzia la stretta compenetrazione:

– il Giudice di Pace di Monza è attento ai riferimenti normativi (scriminante dello stato di necessità, diritti costituzionali, normativa europea ed internazionale);

– il Giudice di Pace di Fano è attento ai riferimenti fattuali (efficacia della vaccinazione ed effetti avversi).

Il quadro che ne deriva è nella necessità di individuare i secondi (i fatti) per inquadrarli nei primi (le norme).

In entrambe le vicende giudiziarie il Giudice di Pace è stato investito del ricorso avverso l’avviso di addebito relativo alla nota sanzione amministrativa di euro 100, per asserita violazione dell’articolo 4 – quater del Decreto Legge 44/2021, che prevedeva la vaccinazione obbligatoria per gli over 50.

L’Agenzia delle Entrate Riscossione, convenuta, si è costituita in giudizio in entrambe le cause, rappresentata e difesa dalla competente Avvocatura dello Stato.

È opportuna una lettura separata delle due sentenze che evidenzi i tratti tipici di ognuna e le rilevanti comunanze, nonché una piccola e al tempo stesso grande differenza conclusiva.

IL GIUDICE DI PACE DI MONZAL’ARTICOLO 4 DELLA LEGGE 689/1981

Per il Giudice di Pace di Monza, trattandosi di sanzione amministrativa-pecuniaria soggetta ai principi generali di cui alla legge 689/1981, il primo riferimento è all’articolo 4 della citata legge.

L’articolo 4 riporta nell’ambito delle cause di esclusione della responsabilità per sanzioni amministrative le scriminanti del diritto penale, statuendo che non risponde della violazione amministrativa “chi ha commesso il fatto…in stato di necessità”, con ciò riprendendo implicitamente le motivazioni fatte proprie dal Giudice del Tribunale penale militare di Napoli ed oggetto di sentenza già pubblicata e commentata in questa sezione del sito.

Lo stato di necessità è determinato, come prevede l’articolo 54 del codice penale, “dalla necessità di salvare sè…dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Il Giudice di Pace parte dalla consapevolezza (“fatto notorio”, secondo il giudice partenopeo) della moltitudine e varietà degli effetti avversi, già accertati nel breve termine e della mancata conoscenza, non solo degli effetti a medio e lungo termine (in quanto di impossibile verifica nell’ambito dell’autorizzazione all’immissione in commercio “condizionata” propria dei vaccini Covid), ma anche degli effetti avversi che il vaccino può produrre su alcune rilevanti categorie di persone (donne in gravidanza, bambini, portatori di particolari patologie).

L’”insorgenza di reazioni avverse” è valutata in termini di “pericolo attuale di un danno grave alla persona” che integra “lo stato di necessità”, in presenza del quale la violazione della norma amministrativa non determina l’irrogazione di alcuna sanzione penale, in quanto il comportamento è privo di alcun carattere di antigiuridicità, in quanto, appunto, scriminato.

Si tratta di una lettura di grande rilevanza, perchè affida al giudice ordinario il controllo sulle risultanze scientifiche che la stessa Corte Costituzionale ritiene debbano essere il fondamento dell’attività legislativa. Se il legislatore ha “un vincolo di scienza” il giudice deve valutare la continua ed esatta osservanza di tale vincolo, non per stravolgere od omettere l’applicazione della legge stessa, ma per verificare che essa rispetti il vincolo “interno” che le è proprio.

Con ciò non si intende patrocinare un’inammissibile valutazione di “costituzionalità diffusa”, ma dare alla norma anche una lettura costituzionalmente orientata nel senso che la norma può trovare applicazione solo fino a quando e nella misura in cui rispetti il “vincolo di scienza”.

La devastazione giuridica prodotta dalla normativa Covid è apparsa evidente ad un’attenta parte della magistratura la quale ha ritenuto che i dati di fatti, quando palesemente in contrasto con le finalità apertamente dichiarate dalla legge, non possano essere privi di conseguenze nell’attività interpretativa.

Avere individuato nell’articolo 54 del codice penale, richiamato nell’articolo 4 della legge 689/1981, la scriminante da applicare al comportamento non rispettoso della norma penale od amministrativa, significa non operare alcuna disapplicazione della legge, non invocarne alcuna incostituzionalità, ma delineare una serie di elementi fattuali e giuridici in presenza dei quali il comportamento, oggettiva e soggettiva violazione della norma penale o amministrativa, è scriminato, ovvero non antigiuridico. Non lo è e non lo può essere, perchè si tratta di evitare “il pericolo di un danno grave alla persona”.

In questa prospettiva le risultanze mediche possono essere dal giudice costantemente aggiornate ed essere poste a legittimo fondamento della decisione.

LA DISCRIMINAZIONE SENZA GIUSTIFICAZIONE

L’imposizione del trattamento vaccinale, obbligatorio per gli over 50, è stata giustificata dalla finalità di impedire la diffusione del contagio.

Il vaccino non ha impedito la diffusione del contagio (“fatto notorio”) e le contrarie parole del Presidente del Consiglio appaiono un vuoto tentativo di trasformare in verità una falsità evidente, nulla di più e, peraltro, senza successo.

Se la letteralmente conclamata finalità della legge non è realizzata o realizzabile allora diventa discriminatorio l’imposizione del trattamento sanitario ad una categoria, priva essendo tale imposizione di ogni ragionevole giustificazione.

Da cosa sarebbero specificamente caratterizzati gli over 50?

Dalla maggiore possibilità di ricovero in ospedale, perpetuandosi la mistificazione di giustificare il trattamento vaccinale per ragioni relative all’organizzazione ed all’efficienza dell’apparato sanitario anzichè per esigenze di tutela della salute pubblica?

La vaccinazione non migliora la salute pubblica, anzi i dati sugli effetti avversi e sulla mancanza di cure, accertamenti sanitari e terapie preventive per tutta una serie di malattie, portano a prospettare la soluzione opposta. L’eccesso di mortalità sarà ancora privo di adeguata e condivisa spiegazione, ma la sua presenza appare inquietante, per chi vuole vedere e cercare di capire.

IL DIRITTO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE: APPLICAZIONE IMMEDIATA E DIRETTA

La questione giuridica è la seguente: se un trattamento sanitario platealmente inefficace rispetto allo scopo dichiarato dallo stesso legislatore (“prevenzione dei contagi”) è imposto in maniera arbitraria ad una categoria di cittadini qual è il ruolo del giudice?

Il giudice italiano non può disapplicare direttamente una norma in quanto contrastante con la Carta costituzionale, ma la questione è diversa, quando il contrasto è con atti normativi ai quali si riconosce efficacia immediata nell’ordinamento giuridico italiano.

Non è possibile sostenere la prevalenza del diritto comunitario sulle fonti interne o prospettare l’efficacia quale norma consuetudinaria della Convenzione europea per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e poi non ammetterne la diretta applicazione quando la norma interna contrasta sia con la Costituzione che con tali atti normativi.

Diversamente deve opinarsi quando la norma comunitaria o internazionale contrasta con il diritto costituzionale, ma il caso all’esame prospetta la contemporanea e duplice violazione da parte della norma interna, impositiva del trattamento sanitario obbligatorio, sia con il diritto comunitario ed internazionale di applicazione immediata e diretta, che con la Costituzione, richiamando a tal riguardo il Giudice di Pace gli articoli 2, 3, 27, 32 e 97.

Non è pregevole l’osservazione che attribuire tale potere al giudice ordinario comporta il rischio di plurime e diverse interpretazioni, in quanto da un lato questa possibilità è nella logica del sistema che riconosce la funzione di nomofilachia alla Corte di Cassazione e, dall’altro, la prevalenza del diritto comunitario ed a certe condizioni di quello internazionale è un dato acquisito ben prima della normativa Covid.

Pertanto, la conclusione sul punto è di ritenere che, se non esiste un controllo di costituzionalità “diffuso”, ovvero appartenente nei limiti della propria competenza a ciascuna autorità giudiziaria, è possibile affermare che ciascuna autorità giudiziaria può nell’applicazione della normativa interna verificarne la compatibilità con le fonti comunitarie ed internazionali e procedere alla disapplicazione delle norme interne contrastanti.

Se l’autorità giudiziaria ritiene che sussista contrasto della norma esterna con le norme costituzionali allora e solo allora dovrà rimettere la questione alla Corte costituzionale.

Questo è l’approdo del Giudice di Pace di Monza, laddove richiama gli articoli 1, 2, 3 e 5 della Carta fondamentale dei cittadini europei, in particolare l’articolo 5, riguardo la necessità del “consenso libero ed informato”, con una informazione “adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi”.

Per il Giudice di Pace questa normativa è di immediata applicazione e prevale sulla normativa interna che tale “consenso libero ed informato” non prevede.

IL CONSENSO E LA VACCINAZIONE OBBLIGATORIA

La questione della necessità del “consenso” era stata sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia ed ha avuto da parte della Corte Costituzionale una risposta assai deludente sul piano della stessa comprensione logica che, andando come a tentoni, si può riassumere così:

– chi si vuole vaccinare presta, ovviamente, il consenso;

– chi non si vuole vaccinare non presta, ovviamente, alcun consenso e ne subisce le relative conseguenze giuridiche.

Il Giudice di Pace non analizza il tema della “libertà” del consenso, ma quello del carattere “informato” che tale consenso deve avere, ovvero la necessità che al cittadino che si sottopone, anche ed in particolare, al trattamento sanitario obbligatorio, l’informazione da dare “deve essere anzitutto adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi”.

L’”informazione” nell’ambito della vaccinazione Covid non ha soddisfatto tali requisiti:

– “scopo”: il presupposto di fatto (“prevenire il contagio”) è palesemente insussistente, come ormai riconosciuto apertamente dagli stessi produttori del vaccino che hanno avuto l’arroganza di ammetterlo davanti al Parlamento europeo che li ha convocati;

– “natura dell’intervento”: la composizione del vaccino ed i passaggi che ne hanno preceduto l’immissione in commercio non sono stati oggetto di conoscenza piena da parte della comunità scientifica, con una mancanza di “trasparenza” che impedisce l’“adeguata” informazione;

– “sue conseguenze e i suoi rischi”: è il punto più dolente, in quanto la brevità della sperimentazione, la procedura condizionata di autorizzazione all’immissione in commercio, le stesse ammissioni delle aziende produttrici di non essere in grado di prevedere “le conseguenze ed i rischi”, conducono inesorabilmente all’affermazione che l‘“informazione” è mancata.

L’”informazione” non è un requisito nella disponibilità del cittadino, non è un elemento che il cittadino può ritenere sussistente per valutazioni personali e insindacabili, come esonerando l’autorità pubblica dall’onere che le è proprio.

La previsione del trattamento sanitario obbligatorio comporta che l’”informazione” sia doverosa per l’autorità pubblica che quel trattamento ha imposto, in quanto l’informazione deve dare atto della diligente verifica dell’autorità sanitaria, dell’accertamento degli effetti avversi e della loro valutazione in termini di gravità e durata, nonchè del successivo vaglio che ne ha compiuto l’autorità politica.

Il legislatore ha il dovere dell’”informazione” perchè è attraverso l’”informazione” che rende manifesto il rispetto anche del “vincolo di scienza”.

La mancanza di “informazione” circa “le conseguenze ed i rischi” prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che il legislatore non aveva a disposizione risultanze scientifiche adeguate e condivise, provenienti o dalle autorità pubbliche preposte alla tutela della salute o dalle stesse aziende produttrici.

Quindi:

– l’articolo 5 della Carta fondamentale dei diritti dei cittadini europei pone il requisito del consenso “informato”;

– il cittadino non poteva esprimere alcun consenso “informato” perchè le “informazioni” erano assenti;

– senza consenso “informato” il trattamento sanitario non può essere imposto come obbligatorio;

– la norma interna che lo prevede come tale deve essere disapplicata.

Anche questo ragionamento e la conclusione di disapplicazione della norma non si fondano sul contrasto con le norme costituzionali, ma sulla diretta applicazione della normativa comunitaria ed internazionale che il Giudice di Pace di Monza ha interpretato sulla base degli elementi di fatto.

Non rientra nella ratio decidendi l’affermazione del Giudice di Pace relativa alle “violazioni dei diritti costituzionali di cui agli articoli 2, 3, 27, 32 e 97 della Costituzione”, riposando la disapplicazione della norma interna sul contrasto con la normativa comunitaria ed internazionale di immediata e diretta applicazione.

IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

“Senza alcun altro motivo logico, scientifico o prudenziale che possa in qualche modo giustificare l’obbligo vaccinale Covid 19 e la conseguente sanzione comminata”, così si esprime il Giudice di Pace di Monza e merita una sottolineatura il richiamo al “principio di precauzione”, se solo si rammenta l’uso che di tale principio è stato fatto dalla Consiglio di Stato nella sentenza 7045/2021.

Il Consiglio di Stato di fronte alla mancanza di sperimentazioni adeguate nel tempo e nel numero dei soggetti sottoposti, all’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata, alla carenza di verifiche circa gli  effetti a breve, medio e lungo termine, alla dimostrazione della bassa mortalità causata dal Covid 19, ha patrocinato una applicazione di tale principio in modo perversamente illogico: il “principio di precauzione” ha giustificato il trattamento sanitario obbligatorio dagli effetti praticamente sconosciuti rispetto ad una “pandemia” i cui effetti erano limitati nel numero e nelle fasce di popolazione colpita.

Neppure l’attenzione alle generazioni future, su cui si rifletteranno gli effetti a breve e soprattutto a medio e  lungo termine ha costituito un argine per il Consiglio di Stato, il quale ha aderito ad una prospettiva che sacrifica i giovani agli anziani e non viceversa, come ogni civiltà ha sempre ritenuto di fare, perchè sono i padri ed i nonni a doversi sacrificare, anche con la vita, per figli e nipoti.

Il Giudice di Pace riporta la prudenza alla sua vera natura, quale virtù cardinale, reso doveroso il suo utilizzo proprio dalla mancanza di adeguate informazioni su scopo, natura, conseguenze e rischi della vaccinazione.

Capovolgendo la logica che ha imposto la vaccinazione obbligatoria, avrebbero dovuto essere i più fragili, gli anziani, gli immunodepressi, gli affetti da gravi e plurime patologie, a dover essere preservati da una “oscura” vaccinazione, proprio perchè era e, purtroppo, è, ignoto il meccanismo attraverso il quale la vaccinazione opera su tali soggetti e gli effetti avversi in grado di cagionare.

La ”discriminazione” operata, over 50, è priva di alcuna giustificazione, perchè mancano dati, verifiche, accertamenti, sperimentazioni completate: manca l’“informazione” per chi a tale vaccinazione deve sottoporsi e “conoscenza scientifica” doverosa per chi quell’obbligo ha imposto.

E ormai il principio di non discriminazione è un principio di diretta applicazione nell’ordinamento interno.

IL GIUDICE DI PACE DI FANO: INEFFICACIA DELLA VACCINAZIONE

La sentenza del Giudice di Pace di Fano opera un formale richiamo alla sentenza del Giudice del Tribunale penale militare di Napoli in data 10 marzo 2023 (estensore Cruciani), già oggetto di pubblicazione e commento adesivo in questa parte del sito.

Il presupposto interpretativo è l’attribuzione al giudice ordinario del potere di valutare l’efficacia della vaccinazione e gli effetti avversi.

Quanto all’efficacia della vaccinazione, secondo l’orientamento della stessa Corte Costituzionale, il legislatore nell‘ambito della vaccinazione obbligatoria ha il dovere di attenersi alle risultanze della migliore scienza ed esperienza, nonchè di valutare continuamente l’evoluzione delle risultanze scientifiche ed adeguarne la relativa normativa.

Il Giudice di Pace di Fano ritiene, come il Giudice partenopeo, che il giudice ordinario possa sindacare efficacia della vaccinazione ed i relativi effetti avversi, non essendo limitato tale sindacato alla Corte Costituzionale o riservato ad una “irresponsabile discrezionalità” del legislatore, proprio per la rilevanza del “vincolo di scienza” rispetto all’attività normativa.

La sentenza, pertanto, nega che i vaccini siano strumenti idonei in alcun modo a prevenire il contagio del virus, “infatti tali vaccini in commercio non sono idonei ad impedire ai soggetti di essere contagiati e nemmeno di contagiare a propria volta, quindi non appaiono strumenti di prevenzione, rivelandosi percentualmente idonei in misura né pari, né vicina al 100%, ma di fatto prossima allo zero”.

L’inefficacia dei vaccini assurge a “fatto notorio”, in quanto i soggetti vaccinati possono contrarre e trasmettere il contagio, il che significa che i soggetti vaccinati ed i non vaccinati debbono essere trattati necessariamente come soggetti tra loro equivalenti.

La sentenza trae l’immediata conseguenza della qualificazione come “fatto notorio”, ovvero che lo stesso  può essere conosciuto dal Giudice senza uno specifico  accertamento, escludendo quindi la necessità di ulteriori verifiche in punto di prova, “trattandosi di fatto che appartiene al normale patrimonio di conoscenza della comunità sociale”.

EFFETTI AVVERSI

Quanto agli effetti avversi, non solo il legislatore li deve costantemente monitorare, ma le caratteristiche degli stessi sono state costantemente individuate dalla giurisprudenza costituzionale al fine di valutare la legittimità del trattamento sanitario obbligatorio e della vaccinazione in particolare.

Il Giudice di Pace di Fano, occupandosi di effetti avversi,  analizza uno degli aspetti più controversi della sentenza 14/2023 della Corte Costituzionale originata, come noto, dall’ordinanza di rimessione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, il quale, fin dal marzo 2022, valutava gli effetti avversi causati dalla vaccinazione Covid e dettagliatamente individuati, come incompatibili ed in contrasto con la precedente e costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale aveva sempre ritenuto che “la legge impositiva di un trattamento sanitario obbligatorio non è incompatibile con l’articolo 32 della costituzione soltanto se gli effetti avversi prevedibili siano temporanei, di scarsa entità e tollerabili”.

Di fronte all’obiezione del Consiglio di Giustizia Amministrativa secondo la quale gli effetti avversi rilevati a seguito della vaccinazione Covid non erano qualificabili come “temporanei, di scarsa entità e tollerabili”, la Corte Costituzionale ha replicato sostenendo che la stessa legge 210/1992 sull‘indennizzo per danni da vaccinazione, prevedendo l’evento morte, denota palesemente che tali eventi, per quanto gravi, siano “messi in conto dal legislatore”.

A parte l’anomalia di interpretare la norma costituzionale sulla base della legge ordinaria, il punto, completamente mancato dalla Corte Costituzionale, è la valutazione della prevedibilità, del normale accadimento e del numero di tali eventi gravi.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa aveva messo in evidenza proprio il fatto che gli eventi gravi non erano più imprevedibili, ma rappresentavano una costante significativa, accertata, percentualmente rilevante.

Ne derivava il contrasto tra gli eventi avversi causati dalla vaccinazione Covid e gli avventi avversi ritenuti ammissibili nell’ambito della vaccinazione obbligatoria dalla giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale.

Ciò avrebbe dovuto indurre alla corretta operatività del principio di precauzione.

Al contrario, il ragionamento contrapposto dalla Corte Costituzionale conduce ad ammettere trattamenti sanitari obbligatori con percentuali elevate di morte ed incapacità permanente, compensate dalla presenza dell’indennizzo, come se attraverso l’indennizzo il legislatore fosse esonerato dall’osservanza di ogni limite rispetto alla verificazione di eventi avversi.

Al contrario, la previsione dell’evento morte nell’ambito dell’indennizzo non significa accettazione dello stesso quando è certa la sua verificazione e consistenza numerica, quando la regolarità dell’accadimento dimostra la causale connessione con la sottoposizione al trattamento sanitario obbligatorio.

In tale contesto il trattamento sanitario obbligatorio non è ammissibile, perchè sacrifica la salute dei singoli, la pone davanti ad un rischio peraltro sconosciuto nella sua esatta consistenza ma che si è già realizzato in misura intollerabile sulla base dei dati disponibili.

Alla costante affermazione secondo la quale il trattamento sanitario obbligatorio è ammissibile quando gli effetti avversi sono temporanei, di scarsa entità e quindi tollerabili, può essere affiancata la constatazione di eventi imprevedibili ed in numero irrisorio, ma non la constatazione di eventi gravi prevedibili ed in numero significativo.

Peraltro il Giudice di Pace di Fano compie una lettura dell’articolo 32 della Costituzione che si premura di specificare che “diritto dell’individuo” ed “Interesse della collettività” non sono collocati sullo stesso piano, considerando che “l’articolo 32 della Costituzione tutela in primo luogo la salute come fondamentale diritto dell‘individuo e soltanto successivamente come interesse della collettività” e ciò comportando una sorta di relazione regola / eccezione, ovvero la regola è la tutela della salute del singolo e l’autodeterminazione sanitaria e l’eccezione è il trattamento sanitario obbligatorio, gerarchia di valori resa evidente dal diverso uso dei termini “diritto” ed “interesse” e di cui non si era dubitato…fino alla normativa Covid.

ILLEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO SANZIONATORIO PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE

La valutazione fattuale del Giudice di Pace di Fano è nel senso di inefficacia del vaccino ed inaccettabilità degli effetti avversi verificati ed accertati.

La finalità dichiarata dallo stesso legislatore, ovvero impedire la diffusione del virus, non è realizzabile e la stessa legge si connota in termini intrinsecamente contraddittori; quanto agli effetti avversi le conoscenze a disposizione conducono all’inquadramento nello stato di necessità per il “pericolo attuale di un danno grave alla persona” che la vaccinazione comporta.

Il Giudice di Pace di Fano dichiara l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio quale conseguenza della constatata assenza dei due presupposti che devono essere ragionevolmente, costituzionalmente e naturalmente presenti in ogni trattamento sanitario obbligatoriamente imposto, ovvero efficacia e non peggioramento o rischio di significativo peggioramento delle condizioni di salute di chi al trattamento sanitario si deve sottoporre.

Ritenere che questa valutazione competa solo al legislatore significherebbe ampliarne l’arbitrio senza limite alcuno e ritenere che solo la Corte Costituzionale possa sindacarne la sussistenza significherebbe privare di efficacia la tutela giurisdizionale che la stessa Costituzione afferma come diritto primario.

Al contrario, il legislatore mantiene la sua discrezionalità politica e la Corte Costituzionale il potere di dichiarare, con efficacia erga omnes, l’illegittimità costituzionale.

Al potere giudiziario spetta, con riferimento ai casi singoli, il potere di dichiarare l’illegittimità di provvedimenti applicativi della legge quali, ad esempio, sospensione dal lavoro, privazione di ogni emolumento e sanzione pecuniarie.

Occorre riconoscere che questa opzione interpretativa si avvicina, pur non coincidendo, ad una sorta di controllo di legittimità diffuso, diversamente dal riferimento allo stato di necessità od alla diretta ed immediata applicazione della normativa europea od internazionale e disapplicazione della norma interna contrastante.

Il Giudice di Pace di Fano richiama l’articolo 32 della Costituzione ed il percorso motivazionale ha il suo perno nella considerazione del diritto alla salute quale diritto fondamentale, la cui tutela compete al giudice ordinario per i casi di lesione o pericolo.

Si tratta di una piana affermazione che trova immediato riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte (in tal senso SS.UU. ordinanza 5668 del 23 febbraio 2023), la quale, in una fattispecie concreta nella quale era prospettata l’inerzia della pubblica amministrazione, afferma e ribadisce che il diritto alla salute è un diritto fondamentale, diritto soggettivo sempre che non tollera compressioni da parte dei pubblici poteri.

La compressione del diritto alla salute non può essere nè diretta, attraverso l’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio privo dei presupposti di legittimità, nè indiretta, ovvero attraverso sanzioni, quali la multa di Euro 100, le prescrizioni ed i divieti di comportamento, la sospensione dal lavoro e la privazione di ogni emolumento, configurandosi quali conseguenze per la mancata ottemperanza all’illegittimo obbligo vaccinale.

In questo contesto il giudice accerta la violazione del diritto alla salute, come delineato dall’articolo 32 della Costituzione, ovvero diritto destinato ad operare sia nei rapporti tra privati che nei rapporti con i pubblici poteri, dichiara illegittimo e disapplica il provvedimento pubblico o privato (sanzione pecuniaria o sospensione dall’esercizio della professione o dal lavoro).

Il diritto alla salute non è leso soltanto quando un intervento chirurgico in una struttura sanitaria pubblica è stato compiuto negligentemente; il diritto alla salute non è posto in pericolo soltanto quando la pubblica amministrazione non interviene per rimuovere una situazione di rischio, dovuta ad inquinamento o non mantenimento di adeguate condizioni di igiene.

Il diritto alla salute è leso quando si impone un trattamento sanitario obbligatorio in mancanza delle condizioni legittimanti (efficacia, sicurezza ed informazione) ed è leso altresì da ogni e qualunque provvedimento che sia volto, attraverso sanzioni dirette od indirette, ad assoggettare il cittadino al medesimo trattamento.

Se si escludesse tale seconda situazione dal sindacato giurisdizionale l’arbitrio del legislatore che si vuole limitare nella fase impositiva del trattamento sanitario obbligatorio, riprenderebbe vigore senza alcun limite quanto alle conseguenze, realizzando una coartazione indiretta ma non per questo meno rilevante della volontà del cittadino.

Pertanto, se il trattamento sanitario imposto viola il diritto alla salute la sanzione di illegittimità non può non riguardare ogni provvedimento conseguente alla legittima sottrazione all’obbligo da parte del cittadino.

Questa è l’argomentazione conclusiva del Giudice di Pace di Fano che perviene alla declaratoria di illegittimità del provvedimento sanzionatorio in quanto conseguente alla violazione di un obbligo, quello vaccinale, che non è stato legittimamente imposto e che, pertanto, lede il diritto alla salute.

CHI PERDE PAGA OVVERO CONTRO LA GIUSTIZIA CHE PUNISCE CHI VINCE

Pur condividendo la parte motivazionale di entrambe le sentenze, sia consentito notare una differente statuizione in ordine alle spese.

“La natura del procedimento giustifica la compensazione delle spese”, afferma il Giudice di Pace di Monza.

La regola nel processo è che la parte soccombente subisce la condanna al pagamento delle spese legali della parte vittoriosa, salvo diversa e motivata disposizione del giudice.

Invero, proprio la “natura del procedimento” imponeva di porre le spese a carico dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Il cittadino ha fatto ricorso per opporsi al pagamento della sanzione pari ad Euro 100 e, a tal fine, ha dovuto contattare un avvocato, ricevere la relativa consulenza, fare predisporre il ricorso e, come si legge nella sentenza, partecipare all’udienza del 6 aprile 2023.

Orbene, è evidentemente un’attività professionale che ha un valore superiore ai 100 euro. Se il Giudice di Pace non condanna al pagamento delle spese processuali l’Agenzia delle Entrate Riscossione che si è costituita, depositando memorie difensive ed opponendosi con ampiezza di considerazioni, ciò significherà che le cause del genere saranno riservate a pochi cittadini, disposti a perdere di tasca propria pur avendo ottenuto ragione nel merito.

Significa mandare ai cittadini il messaggio che la giustizia è per i benestanti, che chi vince perde comunque economicamente, che il potere pubblico, anche quando ha agito arbitrariamente ed illegalmente, è privilegiato ed esentato dalle conseguenze economiche alle quali sarebbe sottoposto un qualunque cittadino.

Questo non è condivisibile.

Diversamente il Giudice di Pace di Fano ha ritenuto di applicare la semplice regola “Le spese seguono la soccombenza” ed ha condannato l’Agenzia delle Entrate – Riscossione di Pesaro al pagamento delle spese processuali sostenute dal ricorrente quantificate in Euro 250 per onorari, Euro 43 per anticipazioni, oltre al contributo per Cassa Avvocati ed IVA; nulla di “punitivo” ma la piana dimostrazione che in una causa siffatta le spese sono più dell’importo controverso e che, pertanto, senza condanna alle spese si realizza una grave ingiustizia e si trasmette al cittadino un messaggio, si oserebbe dire, intimidatorio.

Questo, lo si ripete, non è condivisibile.

CONCLUSIONI

Le sentenze dei Giudici di Pace di Monza e Fano si inseriscono in un orientamento giurisprudenziale foriero di significativi sviluppi.

Si tratta di pronunce che analizzano elementi fattuali, utilizzano categorie giuridiche note e ampliano la tutela del diritto alla salute.

È prevedibile che quanto emergerà in ordine alla limitata sperimentazione che ha preceduto l’immissione in commercio dei vaccini, agli effetti avversi valutati nel tempo e con riferimento a diverse categorie di persone, alla conclamata inefficacia del vaccino, alimenti tale giurisprudenza e ne rafforzi i presupposti fattuali.

È una giurisprudenza il cui percorso si snoda tra il potere legislativo ed il sindacato della Corte Costituzionale; al primo occorrerà rammentare che il diritto alla salute è dotato di piena ed efficace tutela giurisdizionale e che gli elementi fattuali non sfuggono al sindacato del giudice al quale compete trarne le relative conseguenze ed alla seconda occorrerà rammentare che non può arrogarsi la pretesa di “cristallizzare” le conoscenze scientifiche e di vincolare sul punto l’interpretazione giurisprudenziale, dovendo, almeno un poco, riprendere la sua unica ed originaria funzione ovvero la valutazione di costituzionalità delle leggi, altri essendo gli strumenti che l’ordinamento possiede per garantire l’uniforme applicazione del diritto.

Solo il leale e rispettoso comportamento da parte di tutti gli “attori” è coerente con il principio di separazione dei poteri e garantisce la democrazia.

Milano, 11 settembre 2023