L’aborto è un diritto?

di Pietro Marinelli

Il Parlamento francese ha appena approvato, il 5 marzo scorso, una modifica alla Costituzione che inserisce, per la prima volta nel mondo, l’interruzione volontaria della gravidanza come diritto fondamentale dell’uomo. L’Assemblea era composta da deputati e senatori e in 780 hanno votato a favore; i contrari sono stati 20.

La prima osservazione che mi viene da fare, di fronte a queste notizie sbandierate dalla stampa, è: cosa hanno fatto gli altri parlamentari? Infatti le camere riunite francesi raggiungono un totale di 925 membri, per cui o si sono astenuti oppure erano assenti ben 125 deputati e senatori. Ma tant’è, la narrazione dominante non entra in questi “dettagli”, per non offuscare il “trionfo” del progressismo.

Trionfo che è stato suggellato da un demagogico commento di Gabriel Attal, il capo del Governo, il quale, tributando omaggio a Simone Veil, che ha fatto introdurre nel 1975 la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, ha detto che le donne hanno diritto di disporre del proprio corpo come vogliono e che nessuno può impedirglielo.

Affermazioni trite e ritrite del più bolso femminismo occidentale che non trovano riscontro né dal punto di vista scientifico, né dal punto di vista morale.

Solo chi non vuol tener conto né delle convinzioni religiose, ma neanche della scienza e della natura, può sostenere che l’essere appartenente alla specie umana che si trova nel grembo di una donna sia semplicemente una parte del suo corpo e non abbia una propria individualità.

Ma veniamo alla questione giuridica: l’aborto può essere considerato un diritto fondamentale dell’uomo da inserire nella Costituzione di un Paese?

Per rispondere alla domanda occorre chiarire il significato delle parole che usiamo, utilizzando quella che nel “buio” medioevo si chiamava la “explicatio terminorum”.

Cos’è un diritto? E, più precisamente, un diritto soggettivo?

La definizione che dobbiamo insegnare tutt’ora è la seguente: “un potere o pretesa di veder riconosciuto e tutelato un proprio interesse”.

E già qui si può individuare il nocciolo della questione: si può parlare di “diritto soggettivo” nel momento in cui si vuole vedere riconosciuto e tutelato un PROPRIO interesse, non quando si vuole decidere riguardo ad un interesse ALTRUI, cioè non allorché si voglia gestire qualcosa che coinvolge un altro soggetto.

In altre parole, non può essere considerato un diritto la decisione che riguarda un altro, ma solo ciò che riguarda se stessi. E’ per tale motivo che gli abortisti insistono ossessivamente sull’affermazione che il feto sia una parte del corpo della donna, perché se fosse vero questo allora sarebbe giustificabile il diritto all’aborto!

Ma poiché ciò non ha senso né dal punto di vista delle religioni, né da quello della scienza, né da quello della morale, tale affermazione si configura come puramente ideologica: è un assunto indiscutibile che non può essere soggetto ad alcuna critica e non ha bisogno di essere dimostrato, perché è un passo inevitabile del radioso cammino verso il progresso inarrestabile.

Ad ogni modo, se invece il feto è un essere individuale appartenente alla specie umana, il diritto all’aborto si configura come un “monstrum” in qualunque ordinamento giuridico, in quanto è una applicazione dello “ius vitae ac necis” del diritto romano, che credevamo superato per sempre!

Paradossalmente il diritto all’aborto è un passo indietro di duemila anni, ai tempi in cui non si riconosceva ancora la persona umana come soggetto di diritto, a prescindere dalla sua età anagrafica! E’ un ritorno al paganesimo, scelto dalla mentalità materialista e atea di una notevole parte del Parlamento francese!

Milano, 12 marzo 2024