La sentenza del Tribunale di L’Aquila e la prevenzione del contagio

LA PREVENZIONE DEL CONTAGIO QUALE FONDAMENTO DELL’OBBLIGO VACCINALE

OVVERO

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI L’AQUILA DEL 13 SETTEMBRE 2023 E LE PERICOLOSE INCERTEZZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

di Marco Schiavi


LA GIURISPRUDENZA “DEMOLITORIA”: ARGOMENTAZIONI GIURIDICHE E TUTELA DEI DIRITTI

La giurisprudenza, si potrebbe dire, “non molla la presa” riguardo la vaccinazione e gli aspetti correlati, principalmente sicurezza, efficacia, finalità di prevenzione del contagio e conseguenze sanzionatorie per omessa vaccinazione.

Senza pretesa di completezza, è interessante in questa fase di vitalità giudiziaria rilevare la varietà di argomentazioni utilizzate dalla magistratura per accogliere i ricorsi, con relativa inapplicabilità della “normativa emergenziale Covid” alle fattispecie concrete:

– disapplicazione della normativa per contrasto con il principio di non discriminazione sancito da norme comunitarie e nazionali, stante l’inidoneità del vaccino a prevenire il contagio e la malattia e, quindi, la natura discriminatoria del diverso trattamento tra lavoratori (in tal senso Tribunale Firenze 20 novembre 2023);

– applicazione della causa di giustificazione dello stato di necessità, di cui agli articoli 54 del codice penale e 4 della legge 689/1981, per escludere ogni conseguenza penale o amministrativa derivante dall’omessa vaccinazione, stante il pericolo attuale di un danno grave alla persona, ovvero gli accertati effetti avversi, che la stessa vaccinazione comporta  (in tal senso Tribunale Militare Napoli 13 marzo 2023 e Giudice di Pace di Lucca 10 novembre 2023);

– integrazione interpretativa della normativa vaccinale al fine di qualificare anamnesi personalizzata, prescrizione e consenso informato quale requisiti essenziali dell’obbligo vaccinale (Tribunale Chieti 22 settembre 2022);

– interpretazione conforme al diritto comunitario (Trib. Bologna  3novembre 2022);

– necessità che la condotta incriminata sia concretamente offensiva dell’interesse protetto ovvero la tutela della salute pubblica, con riferimento alla violazione della quarantena da parte del soggetto comunque negativo al tampone prima e dopo la violazione stessa (Trib. Milano 12 dicembre 2022);

– verifica circa l’adeguatezza e la proporzionalità dell’ordinanza regionale che inasprisce le limitazioni di legge ponendo limiti alla libertà di circolazione (CGA Regione Siciliana 24 ottobre 2023).

Si tratta di una giurisprudenza che abbraccia gli ambiti civili, penali ed amministrativi, che spazia dall’accertamento dell’illegittimità di provvedimenti amministrativi al risarcimento del danno, dall’assoluzione per incriminazioni penali al reintegro del lavoratore sospeso.

La “normativa emergenziale Covid” che si è caratterizzata per l’occupazione di praticamente tutti gli spazi normativi, non ha rappresentato una specifica normativa di settore, bensì una normativa che si è estesa a tutti i settori dell’ordinamento giuridico.

La capacità espansiva della “normativa emergenziale Covid” ha determinato un problema di integrazione della stessa con le norme, i principi e le argomentazioni dei principali settori dell’ordinamento giuridico, ovvero civile, penale e amministrativo.

La giurisprudenza ha evidenziato contrasti “tra la normativa emergenziale Covid” da un lato e principi ed istituti giuridici ad essa, in un certo senso, sovraordinati dall’altro, la cui applicazione ha determinato una “disattivazione” della predetta normativa.

Per esemplificare:

– la giurisprudenza penale ha fatto uso del principio di necessaria offensività della condotta, pervenendo ad assolvere laddove la stessa condotta non ledeva o metteva in pericolo il bene della salute pubblica o rinvenendo la causa di giustificazione dello stato di necessità, ovvero la necessità, per evitare gli effetti avversi, di sottrarsi all’obbligo vaccinale proprio per impedire il pericolo di un danno grave alla persona;

– la giurisprudenza civile ha reintegrato con risarcimento del danno i lavoratori sospesi per omessa vaccinazione obbligatoria, rilevando che la finalità della vaccinazione normativamente stabilita (la prevenzione del contagio) non era garantita dalla vaccinazione, con conseguenti profili di irragionevolezza e discriminazione tra lavoratori;

– la giurisprudenza amministrativa ha sanzionato l’illegittimità di provvedimenti contrastanti con norme di legge, principi costituzionali e norme comunitarie di diretta applicazione.

Ovviamente si tratta di una schematizzazione necessariamente sintetica e non rigorosa degli orientamenti giurisprudenziali che, da un lato hanno sottoposto a severa ed impietosa disanima tre aspetti della vaccinazione, ovvero efficacia, sicurezza e finalità e, dall’altro, hanno tratto le conseguenze in tema di irragionevolezza, discriminazione e offesa alla dignità della persona della normativa che quella stessa sicurezza, efficacia e finalità presupponevano in maniera infondata e immotivata.

Il quadro complessivo, pertanto, non si presta ad una facile riconduzione unitaria e, almeno in questa fase è opportuno limitarsi ad una ricognizione delle pronunce giudiziarie più significative, sia per l’ampiezza della motivazione che per la ricorrenza di argomentazioni anche fattuali, lasciando ad un’ulteriore fase un compito più sistematico.

Giova ribadire, pur nella considerazione eminentemente giuridica di queste note, che sottolineare e diffondere queste pronunce significa alimentare il dibattito politico e culturale, mantenere e diffondere la consapevolezza di diritti e tutele che la “normativa emergenziale Covid” ha inteso stravolgere, non permettere a categorie antidemocratiche e autoritarie di divenire criteri di interpretazione di norme costituzionali poste a tutela di diritti inviolabili.

In sostanza, conservare e sviluppare la memoria giuridica, ma non solo, di quanto accaduto affinchè la nostra società possa mantenere il tratto di civiltà che l’ha caratterizza, rispettosa delle libertà individuali e non scivoli nell’affidarsi ad un potere oscuro che in nome di una falsa “sicurezza” possa imporre qualunque limitazione, dai diritti fondamentali ai meccanismi di rappresentanza politica.

In questo contesto la giurisprudenza, forse delusa dai recenti esiti, non appare orientata ad operare ulteriori rimessioni alla Corte Costituzionale, anzi ne sottolinea l’efficacia non vincolante delle sentenze di rigetto o di inammissibilità, pervenendo ad esiti interpretativi altamente innovativi e al tempo stesso fortemente motivati.

Dietro motivazioni giuridiche si posizionano valutazioni fattuali, ricostruzioni di verifiche scientifiche, aggiornamenti su effetti avversi, che rappresentano il meglio dell’osservazione della realtà non ideologica, priva di interessi economici e professionali, non asservita ad alcun potentato politico, economico o informativo.

A questa giurisprudenza deve essere reso onore e, prima ancora, diffusione la più ampia possibile, ritrovando, in termini giuridicamente ineccepibili, le opinioni che per mesi sono state manifestate in molte piazze d’Italia per opporsi al “green pass” ed alla vaccinazione obbligatoria.

Al tempo stesso la giurisprudenza e la dottrina più attenta continuano il confronto con le pronunce della Corte costituzionale, ma emergono chiavi di lettura che tendono a privarne di rilevanza non solo il dispositivo ma anche l’”apparato motivazionale”, ancorandolo alle conoscenze ed alle rilevanze scientifico-sanitarie disponibili al momento dell’introduzione degli obblighi vaccinali. Se tali conoscenze mutano nel tempo, come rende palese l’aggiornamento richiesto dalla stessa Corte Costituzionale, la motivazione e la decisione sono legittimamente diverse ed anche contrastanti.

Il giudice di merito in tal modo:

– non ha alcun vincolo nei confronti della Corte costituzionale;

– valuta secondo il prudente apprezzamento e quale peritusperitorum le risultanze scientifiche in perenne aggiornamento;

– motiva rispettando lo stesso “vincolo di scienza” ed in armonia con la finalità ed i requisiti costituzionali dell’obbligo di vaccinazione.

Si delinea una sorta di procedimento interpretativo che determina una svalutazione delle pronunce della Corte costituzionale, ancorate ad una prospettiva temporale ormai superata e che per il Giudice, proprio in quanto dispone di evidenze ormai pacificamente diverse rispetto a quelle del legislatore al tempo dell’introduzione del “green pass” e degli obblighi vaccinali, sono inutilizzabili nel loro nucleo decisorio.

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI L’AQUILA: SANZIONE DI EURO CENTO E SOSPENSIONE DAL LAVORO

La sentenza pronunciata il 13 settembre 2023 dal Giudice del Lavoro del Tribunale di L’Aquila appare, nella prospettiva sopra  illustrata, meritevole di segnalazione, riguardando la sanzione di euro cento a carico degli ultracinquantenni e la sospensione dal lavoro, entrambe quali conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale.

La fattispecie concreta riguarda un dipendente della Regione Abruzzo, il quale, a seguito dell‘inottemperanza all‘obbligo vaccinale, era stato sospeso dal lavoro, con conseguente mancata corresponsione degli emolumenti e di ogni altro compenso.

L’AMPIA E COMPLETA VITTORIA PROCESSUALE

Occorre rilevare che la vittoria processuale del dipendente è stata particolarmente ampia, riguardando ogni aspetto della controversia in quanto il Giudice ha condannato la Regione Abruzzo:

– al pagamento della “retribuzione dalla sospensione all’effettivo ripristino”, come quantificata dalla stessa parte ricorrente e “non contestata con un calcolo diverso dalla datrice di lavoro”;

– al pagamento delle spese di lite “poste a carico della parte resistente, secondo la regola generale della soccombenza”;

– al pagamento del danno biologico temporaneo per il periodo di sospensione. Quest’ultima condanna merita particolare attenzione, in quanto il dipendente aveva prodotto, come emerge dalla stessa sentenza, “documentazione medica in atti” ed il Giudice ha ritenuto che “tale sospensione, senza alcun fondamento per quanto detto, per il suo grave connotato sia in termini di eliminazione della fonte di sostentamento sia in termini discriminatori rispetto ai colleghi che hanno continuato a lavorare, giustifica il forte stress psicologico”.

Pertanto il Giudice ha riconosciuto a favore del dipendente la sussistenza del danno biologico ovvero, ai sensi dell’articolo 5 della legge 57/2001, la lesione all’integrità psicofisica della persona, risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito.

Il riconoscimento del danno biologico, ossia la lesione della salute e del benessere psicofisico, è un riflesso del ruolo fondante che il lavoro, con il suo risvolto sociale, possiede nella formazione della dignità personale.

La sospensione dal lavoro, quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, lede direttamente la dignità della persona, sia nel profilo soggettivo, ovvero la percezione di sé, che nel profilo oggettivo, ovvero la percezione degli altri individui del contributo offerto “al progresso materiale o spirituale della società”, per richiamare la felice espressione dell’articolo 4 della Costituzione.

Laddove tale sospensione sia illecita, priva di giustificazione adeguata giuridicamente, il danno biologico deve essere risarcito ed il Giudice ne fornisce la stessa sintetica e corretta descrizione quale “forte stress psicologico”.

IL VACCINO NON PREVIENE IL CONTAGIO: L’INEFFICACIA DEL VACCINO E’ “FATTO NOTORIO”

Elemento centrale della motivazione è il “fatto notorio” che:

– i vaccini sono inidonei a prevenire il contagio;

– dal “punto di vista epidemiologico, vaccinati e non vaccinati, vanno necessariamente trattati come soggetti tra loro equivalenti”;

– un trattamento differenziato sarebbe privo di ragionevolezza alcuna ed in palese contrasto con il principio di uguaglianza.

In maniera limpida il Giudice aquilano ripete la definizione di “fatto notorio”, ovvero di “un fatto che appartiene al normale patrimonio di conoscenze della comunità sociale, in un dato tempo e in un dato luogo e che può essere perciò conosciuto, nella sua distinta identità storica, dal giudice, senza la necessità di uno specifico accertamento, escludendo la necessità di ulteriori verifiche in punto di prova”.

La vaccinazione, pertanto, non impedisce il contagio e provoca un respiro di sollievo vedere ancora una volta respinte le affermazioni del Presidente Draghi che vale la pena riportare nella loro falsa e brutale apoditticità: “non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire. Non ti vaccini, contagi, lui o lei muoiono”.

Il “fatto notorio”, ricorda il Giudice, si nutre dei riconoscimenti degli stessi produttori dei vaccini:

– l’audizione al Parlamento europeo di Janine Small, presidente della sezione della Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali, intervenuta al posto di Albert Bourla, l’amministratore delegato, il quale ha voluto risparmiarsi le domande scomode, tra le quali certamente quella di Rob Roos, eurodeputato irlandese, il quale ha posto la semplice domanda “se il vaccino Pfizer Covid è stato testato per fermare la trasmissione del virus prima che entrasse nel mercato”.

La risposta di Janine Small è più di un “fatto notorio”:”mi chiede se sapevamo che il vaccino interrompesse o no la trasmissione prima di immetterlo sul mercato? Ma no. Sa, dovevamo davvero muoverci alla velocità della scienza”;

– quanto contenuto nel foglietto illustrativo del vaccino Comirnaty, sviluppato dalla stessa Pzifer, ovvero che “Comirnatypotrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono e la durata della protezione non è nota”.

LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SONO PRIVE DI EFFICACIA VINCOLANTE

Prima di analizzare la rilevanza interpretativa da attribuire all’accertata “inefficacia” del vaccino, il Giudice del lavoro dedica due passaggi argomentativi per sottolineare agevolmente la mancanza di efficacia vincolante delle sentenze 14, 15 e 16 del 2023 della Corte costituzionale relative alla vaccinazione obbligatoria, trattandosi di sentenze di infondatezza e di inammissibilità:

– l’articolo 24 della legge 87/1953, il quale stabilisce che “l’eccezione può essere riproposta all’inizio di ogni grado ulteriore del processo”, rende evidente che l’unico effetto della pronuncia di infondatezza è l’impossibilità di riproporre la questione di legittimità costituzionale nello stesso grado di giudizio; diversamente la pronuncia di inammissibilità non impedisce, con diversa motivazione, la riproposizione della questione di legittimità costituzionale nello stesso grado di giudizio;

– le pronunce di infondatezza e di inammissibilità non producono per il giudice alcun effetto vincolante riguardo l’interpretazione della norma censurata, stante l’articolo 65 del R.D. 12/1941 il quale attribuisce la funzione nomofilattica, ovvero di garantire l’osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l’unità del diritto alla sola Suprema Corte di cassazione.

Si tratta di argomentazioni giuridicamente ineccepibili, eppure non si può dimenticare l’autorevolezza che le pronunce della Corte costituzionale hanno sempre avuto e come spesso siano state richiamate nelle pronunce giudiziarie al fine di orientare l’interpretazione delle norme, anche a prescindere da ogni giuridica vincolatività.

L’impressione, meritevole di più approfondita verifica, è che le sentenze Covid abbiano indebolito proprio l’autorevolezza della Corte costituzionale, la quale ha debordato dai limiti del proprio sindacato, ha inteso cristallizzare acquisizioni e dati scientifici controversi e non definitivi, è apparsa restia a considerare in maniera esaustiva la propria consolidata giurisprudenza in tema di vaccinazione obbligatoria, determinando la contrastante reazione di parte della giurisprudenza, che ha così inteso “richiamare” alla stessa Corte i limiti del sindacato di legittimità costituzionale, l’efficacia delle sentenze, nonchè, quasi in spirito di contrapposizione, il ruolo della Suprema Corte di Cassazione.Eforse questa perdita di autorevolezza è avvenuta anche nei confronti dei cittadini. Non è un buon risultato.

LA VALUTAZIONE DEL DATO SCIENTIFICO AL MOMENTO DELL’INTRODUZIONE DELL’OBBLIGO VACCINALE?

Mentre anche Pzifer ammette che l’effetto del vaccino non è quello di prevenire l’infezione, bensì “quello di limitare gli effetti dannosi della malattia COVID-19” e non si sta accennando al diverso tema della “sicurezza” e degli effetti avversi del vaccino, sul punto la Corte costituzionale ha preteso di statuire “in coerenza con il dato medico – scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino”, anche se nel prosieguo, in un rigurgito di consapevolezza tardiva, afferma che è “comunque rilevante la quota di casi prevenibile”, non quindi “piena efficacia”, importandole comunque poco “se l’efficacia vaccinale non è pari al 100%, ma del resto nessun vaccino ha una tale efficacia” (sentenza 14/2023).

Da quali studi, verifiche, ricerche la Corte costituzionale abbia tratto la convinzione che è “comunque rilevante la quota di casi prevenibile” non è dato sapere, certamente oggi la risposta è nel senso che si ignora “la quota di casi prevenibile”, perchè, sempre attraverso le parole di chi quel vaccino ha prodotto e avrebbe dovuto garantirne l’efficacia e la sicurezza, “nessun studio era stato condotto sulla capacità del vaccino di impedire il contagio, non essendo quello il fine del prodotto in vendita, quanto piuttosto quello di contrastare gli effetti dannosi dell’infezione”.

Che poi Pzifer conoscesse “qualcosa” degli effetti dannosi dell’infezione e come potevano essere contrastati con le cure disponibili è ancora da verificare con accuratezza, ma che Pziferconoscesse poco o nulla degli effetti avversi della vaccinazione nei riguardi di significative categorie di persone (bambini, giovani, donne gravide, donne in allattamento, portatori di particolari patologie, anziani) questo è ormai ampiamente dimostrato.

Da questo punto di vista la sentenza del Giudice abruzzese ha una prima chiave di lettura: a prescindere dall’articolo 24 della legge 87/1953, le pronunce della Corte costituzionale, in particolare le numero 14 e 15 del 2023, sono scientificamente “preistoria”, essendosi riaperte tutte le correlate questioni in maniera deflagrante alla luce delle acquisizioni medico – scientifiche successive alle sentenze stesse.

Se così è, cosa resta delle pronunce della Corte costituzionale sul piano motivazionale in punto di valutazione del dato scientifico e, soprattutto, come incide il “fatto notorio” della mancata prevenzione del contagio nell’interpretazione ed applicazione della norma?

Una linea interpretativa volta ad attribuire un significato logico, prima ancora che giuridico, alle pronunce della Corte deve prendere avvio dall’osservazione che la Corte ha operato un costante riferimento a dati, dichiarazioni, studi delle autorità preposte alla tutela della salute ed al controllo sull’immissione dei farmaci che allo stato sono semplicemente superati.

Invero, la Corte nelle sentenze 14 e 15 del 2023 sottolinea ripetutamente che quanto citato sul piano delle risultanze scientifiche è costituito dagli elementi che il legislatore aveva a disposizione “al momento” dell’introduzione degli obblighi vaccinali.

Si potrebbe anche comprendere, con un certo sforzo, che in una situazione, non solo giuridicamente ma anche socialmente ed economicamente caotica, i proponenti la vaccinazione abbiano avuto un iniziale accesso a tutta una serie di elementi asseritamente favorevoli all’efficacia ed alla sicurezza del vaccino e che solo successivamente siano emerse risultanze che tale efficacia e sicurezza contestano e azzerano. 

E’ una chiave di lettura interessante, che condurrebbe a “giustificare” il legislatore sulla base dei dati disponibili “al momento” dell’emanazione degli obblighi vaccinali, a sostegno di una, per quanto discutibile, sorta di “buona fede” del legislatore, però:

a) la Corte nota, con una certa soddisfazione, che gli obblighi vaccinali sono venuti meno e che, pertanto, il legislatore ha rispettato quel richiamo, risalente alla sentenza 5/2018, di monitorare le situazioni e intervenire con flessibilità ed immediatezza laddove le risultanze siano diverse da quelle iniziali; va comunque rimarcato che da prima del novembre 2022, quando ha perso efficacia la significativa parte di obblighi e sanzioni riconducibili alla mancata vaccinazione, i dati erano ben diversi e lo stesso Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione siciliana ne aveva preso contezza nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale fin dal 22 marzo  2022;

b) la Corte avrebbe dovuto e potuto andare oltre e verificare, anche a costo di smentire i dati delle richiamate autorità scientifiche, la diversa situazione, specie in punto efficacia del vaccino, con riferimento alla data di decisione o, almeno, alle ordinanze di rimessione e non uscirne pilatescamente con l’affermazione che “nessun vaccino è efficace al 100%” perchè in tema di vaccinazione COVID l’efficacia nella prevenzione della malattia è pari a zero;

c) la Corte non ha, in realtà, eseguito alcun monitoraggio relativo  all’evoluzione delle risultanze scientifiche, pur giudicando circa tre anni dopo l’inizio dell’epidemia, essendosi limitata ad attribuire una patente di “buona fede” alle autorità legislative che hanno introdotto l’obbligo vaccinale.

Questo atteggiamento deve essere posto a confronto con la giurisprudenza della Corte in materia di vaccinazione obbligatoria:

– la Corte ha sempre sostenuto che in materia di vaccinazione ed in generale di trattamenti sanitari obbligatori il legislatore è soggetto al “vincolo di scienza”, ossia verifica del dato epidemiologico e dell’efficacia / sicurezza del vaccino;

– il rispetto da parte del legislatore di tale vincolo rientra nel sindacato di costituzionalità demandato alla Corte sotto il profilo della “ragionevolezza” e della “proporzionalità”, pur nel rispetto della discrezionalità politica e della considerazione degli altri interessi coinvolti, anche di rango costituzionale;

– se la Corte ritiene che il rispetto del “vincolo di scienza” debba essere svolto da essa unicamente con riferimento al momento della introduzione della norma da parte del legislatore, ciò comporta che il controllo su tale requisito è “diffuso”, ovvero compete a ciascun Giudice, pena altrimenti una carenza di tutela  giudiziaria con effetti definitivi ed irreparabili, attesi gli effetti  irreversibili della vaccinazione sulla salute della persona;

– nel caso di specie l’idoneità della vaccinazione a prevenire il contagio è contemplata già dalla formulazione originaria della norma stessa (articolo 4 decreto legge 44/2021) in modo esplicito e letterale, tale da fare assurgere il dato scientifico al rango di elemento costitutivo della fattispecie, oggetto di necessaria valutazione da parte del giudice;

– anche se la norma non contemplasse tale elemento costitutivo,  l’idoneità del vaccino a prevenire il contagio è elemento costituzionalmente imposto che il giudice ordinario è chiamato a valutare, fermo restando il ricorso alla Corte per una sentenza che,  solo nell’ipotesi di accoglimento, avrebbe efficacia erga omnes.

LA “PREVENZIONE DEL CONTAGIO” REQUISITO DELL’OBBLIGO VACCINALE

La progressiva consapevolezza delle risultanze scientifiche ha condotto la giurisprudenza dall’inconsistente ed apparente certezza manifestata dal Consiglio di Stato con la sentenza 7045/2021, secondo la quale “la posizione della comunità scientifica internazionale…è nel senso…sostanziale esclusione di qualsivoglia patogenicità dei vaccinati”, all’iniziale e forzato riconoscimento per cui “l’efficacia vaccinale non è pari al 100%, ma del resto nessun vaccino ha una tale efficacia”, come affermato nella sentenza numero 14/2023 della Corte costituzionale, fino alla  conclusione che è “assolutamente non provata l’efficacia vaccinale quale strumento di prevenzione del contagio”,  secondo le parole del Giudice Cruciani.

Al riguardo, riprendendo le conclusioni del paragrafo precedente, si delinea una sorta di “riparto di competenze”:

– la Corte costituzionale giudica del rispetto del “vincolo di scienza” al momento dell’introduzione della norma relativa all’obbligo vaccinale;

– la magistratura verifica il rispetto del vincolo nel tempo, alla luce delle risultanze scientifiche, sia relative all’andamento epidemiologico che all’efficacia ed alla sicurezza dei vaccini.

Pertanto, quando il Giudice del lavoro, afferma che “intende discostarsi da tale interpretazione”, ovvero che “i vaccini per SarsCov 19 in commercio non sono strumenti atti in alcun modo a prevenire il contagio”, non sta compiendo alcuna “disobbedienza”, né sta dando una diversa “interpretazione”, perchè è semplicemente diverso l’oggetto dell’interpretazione: per la Corte erano i dati disponibili al tempo dell’introduzione dell’obbligo vaccinale, per il Giudice di L’Aquila sono ma, soprattutto, devono essere i dati disponibili al tempo della sua pronuncia, ovvero settembre 2023.

Me se tutta la parte che la Corte dedica a collazionare citazioni di enti, autorità, ricerche svolte sul tema vaccinale è semplicemente superata o, meglio, soggetta all’aggiornata verifica che competerà a ciascun giudice, si ripropone la domanda: cosa resta della pronuncia della Corte?

Non si intende in questa sede valutare, meno ancora positivamente, le risultanze scientifiche citate dalla Corte in particolare nella sentenza n. 14/2023 a sostegno dell’efficacia e della sicurezza del vaccino.

Il proposito è di porre in evidenza come la Corte abbia, comunque, inteso ribadire che la legittimità dell’obbligo vaccinale ha come elemento indefettibile la prevenzione del contagio.

La Corte sarà certamente criticabile per le fonti ed i contenuti delle evidenze scientifiche citate, ma “la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus” restano quanto necessario per imporre l’obbligo vaccinale.

Certamente rimane una forte ambiguità circa la misura di tale “riduzione”, termine che andrebbe per chiarezza terminologica sostituito con “prevenire la circolazione del virus”, ma nondimeno  è rilevante sottolineare che la Corte abbia motivato sulla necessità che la vaccinazione obbligatoria possieda un’incidenza diretta sulla salute collettiva, rifiutando di dare legittimo ingresso ad un vaccino, o presunto tale, che si limiti a diminuire la pressione ospedaliera, che soddisfi esigenze attinenti l’organizzazione delle strutture sanitarie, che comporti una riduzione delle spesa pubblica, che rappresenti l’adempimento del dovere di salute che graverebbe su ciascuna persona.

E allora, se la Corte costituzionale ha “salvato” il legislatore sulla base dei dati disponibili al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale e se, nel contempo, ha mantenuto il presupposto secondo il quale la vaccinazione deve tutelare la salute collettiva e prevenire il contagio, emerge con grande rilevanza la questione circa la sorte, ovvero l’interpretazione ed applicazione delle norme che hanno introdotto la vaccinazione obbligatoria, qualora oggetto di procedimenti civili, penali, amministrativi e disciplinari ancora in corso e non definiti.

La necessità che sia rispettato il requisito della “piena efficacia”, per usare l’espressione della Corte, emerge anche dallo stesso testo di legge ed in particolare dall’articolo 4-quater del decreto legge 44/2021 il quale, sia nella rubrica che nel corpo della disposizione, prevede l’obbligo vaccinale “per la prevenzione del contagio”. Questa è la funzione, imposta dalla legge, alla quale deve adempiere l’obbligo vaccinale, cristallizzata dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale e propria dei vaccini obbligatoriamente introdotti dal legislatore, almeno sino alla normativa Covid.

Da questo punto di vista il Giudice aquilano ha buon gioco, perchènon si premura di valutare in termini generali la legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale, ma parte dal dato letterale della norma, questo sì corrispondente al diritto costituzionale ed alle proprietà dei vaccini obbligatori, ritenendo del tutto legittimo che “la prevenzione dell‘infezione” possa giustificare una discriminazione così rilevante nel luogo di lavoro, senza premurarsi di affrontare altre tematiche costituzionali.

Al tempo stesso il Giudice qualifica come “fatto notorio” l’inidoneità dei vaccini a prevenire l’infezione e, pertanto, la norma non può trovare applicazione.

Si potrebbe dire, con una battuta, che il legislatore ha scelto i vaccini sbagliati…

Si è già evidenziato che di fronte alla normativa Covid(vaccinazione obbligatoria, sospensione dal lavoro, sanzione pecuniaria, obbligo di tampone e “green pass”) la giurisprudenza, in sede cautelare e di merito, ha seguito diverse strade, che hanno oscillato tra sollevare questioni di legittimità costituzionale e, tra l’altro, applicare direttamente la normativa europea o, comunque, di rango sovranazionale, con conseguente disapplicazione della contrastante disposizione di diritto nazionale.

L’approccio del Giudice aquilano è particolare, perchè utilizza il fatto notorio dell’inidoneità dei vaccini per ritenere non perfezionata la fattispecie di cui al combinato disposto degli articoli 4-quater e 4-quinquies del decreto legge 44/2021.

La “prevenzione dell’infezione” non è ratio della legge che spetta al Giudice rinvenire nei lavori preparatori o dalle spesso contraddittorie intenzioni del legislatore, ma elemento costitutivo della fattispecie.

L’interdizione all’accesso al luogo di lavoro è volta a prevenire il contagio, non a perseguire una diversa finalità di tutela di interessi pubblici o privati.

I vaccini devono prevenire il contagio, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale riaffermata anche nelle recenti sentenze.

Ai giudici spetta valutare se il vaccino adempia tale funzione e nel caso in cui le risultanze aggiornate inducano a ritenere “assolutamente non provata l’efficacia vaccinale quale strumento di prevenzione del contagio”, secondo le parole del Giudice Cruciani, la norma relativa all’obbligo vaccinale non può trovare applicazione, essendo tale “efficacia” incorporata nella norma stessa quale suo elemento costitutivo.

L’interpretazione anche letterale della norma fa della “prevenzione del contagio” un elemento costitutivo della fattispecie, ovvero la sospensione dal lavoro e le altre conseguenze economiche possono trovare applicazione solo laddove tale “prevenzione del contagio” si sia verificata.

La norma non indica quali vaccini debbano essere utilizzati e rimanda ad altre fonti per la loro identificazione, ma l’espressione “prevenzione del contagio” postula un’attività del giudice all’incrocio tra scienza e diritto, quell’attività che la stessa Corte costituzionale ha ritenuto di svolgere e dalla quale il giudice non può esimersi, in quanto necessaria per verificare la presenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.

In questa prospettiva la “prevenzione del contagio” è, in maniera concordante, fondamento costituzionale dell’obbligo vaccinale ed elemento costitutivo della norma che sospende l’attività lavorativa e la corresponsione di ogni emolumento al lavoratore.

Il pregio di questa ricostruzione è di ricondurre ad unità sia la giurisprudenza della Corte costituzionale che la norma che impone l’obbligo vaccinale, trovando nella “prevenzione del contagio” la cerniera che unisce armonicamente il fatto ed il diritto dell’attività giudiziaria.

E‘ interessante notare come nelle sentenze della Corte costituzionale non vi sia alcun riferimento alla diversa natura dei vaccini a mRNA rispetto ai più tradizionali vaccini a vettore virale.

Questa osservazione alimenta il dubbio che l’intera giurisprudenza costituzionale si sia sviluppata con riferimento ai vaccini a vettore virale e che la diversità dei vaccini a mRNA si rifletta particolarmente sulla capacità dei primi di “prevenire una o più malattie infettive attraverso la stimolazione del sistema immunitario e la conseguente acquisizione della cosiddetta immunità attiva”, diversamente dai secondi ormai qualificati come “una preparazione che viene usata per stimolare la risposta immunitaria del corpo contro le malattie”.

Ad avvalorare questo dubbio contribuisce la circostanza che nelle sentenze pronunciate la Corte non abbia mai richiamato tale distinzione, non abbia aderito ad alcuna nuova definizione di “vaccino” che avrebbe inevitabilmente comportato un allontanamento dalla funzione di tutela diretta della salute collettiva, ribadendo, invece, che la “prevenzione del contagio” è  requisito indefettibile della vaccinazione.

LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE 185/2023 E 186/2023: DALLA PREVENZIONE DEL CONTAGIO ALLE ESIGENZE ORGANIZZATIVE DEI PUBBLICI POTERI?

Le osservazioni che precedono non intendono sottacere o sminuire le difficoltà nel ricondurre ad unità la precedente giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di vaccinazione obbligatoria con quanto espresso nelle recenti sentenze della stessa Corte e relative alla “normativa emergenziale Covid”.

Emblematiche sono al riguardo le sentenze numero 185 del 5 ottobre 2023 e la successiva numero 186 del 9 ottobre 2023.

La prima affronta la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Genova circa la legittimità costituzionale dell’imposizione dell’obbligo vaccinale a tutti gli esercenti le professioni sanitarie latamente intese e non soltanto agli operatori sanitari che svolgono la loro attività in luoghi di cura.

La seconda affronta la questione sollevata dal Tribunale di Brescia – sezione lavoro circa la legittimità costituzionale dell’imposizione dell’obbligo vaccinale al lavoro agile ovvero il c.d. smart working, apparendo irragionevole  imporre l’obbligo vaccinale a prescindere dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, nel senso che “chi lavora a distanza non contagia  e non può contagiare e non crea problemi di sicurezza nel luoghi di lavoro”.

In questa sede ci si limita a segnalare un profilo di continuità ed un profilo di pericolosa discontinuità con la lettura precedentemente offerta delle pronunce della Corte costituzionale.

Entrambe le sentenze ribadiscono che la valutazione del dato scientifico spettante alla Corte riguarda le condizioni epidemiologiche e di conoscenza esistenti al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale.

In particolare, secondo la Corte, il decorso della pandemia al tempo dell’introduzione dell’obbligo vaccinale era valutabile in termini di “gravità” e “imprevedibilità”. Si può non condividere tale valutazione, stante che sin dall’inizio della diffusione virale  era emerso che colpiva prevalentemente persone anziane e con plurime patologie e che le terapie, antibiotiche ed antinfiammatorie in particolare, apparivano idonee a ridurre grandemente la mortalità ma, come dire, la Corte afferma dei requisiti corretti (“gravità” ed “imprevedibilità”) ma li ritiene sussistenti sulla base di una valutazione che, a tutto concedere, oggi appare errata.

In particolare, nella sentenza 185/2023 si afferma che:

– la Corte “deve necessariamente muovere dalla considerazione della peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale” quanto alle condizioni sanitarie;

–  il legislatore ha imposto l’obbligatorietà di “un nuovo vaccino ritenuto, alla luce delle conoscenze medico – scientifiche allora disponibili, idoneo a ridurre la diffusione della circolazione del virus”.

Espressioni ripetute nella sentenza 186/2023 e che, secondo la stessa Corte, si collocano in coerenza con la sentenza 14/2023.La Corte, quindi, insiste nell’operare la duplice valutazione (situazione epidemiologica / efficacia del vaccino) con riferimento alla situazione “ragionevolmente” valutabile dal legislatore al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale, non al momento della propria decisione, anche perchè, nel frattempo, l’obbligo vaccinale è stato abrogato.

Orbene, se l’efficacia del vaccino non sussiste per accertamento successivo, ovvero “il fatto notorio” che i vaccini in commercio ed utilizzati per la campagna vaccinale ed attualmente in commercio non sono idonei a prevenire l’infezione, la norma non può trovare applicazione in quanto un suo elemento costitutivo, ovvero la prevenzione del contagio è di “impossibile realizzazione” e, di conseguenza, anche la norma sanzionatoria è di “impossibile applicazione”.

Non vi è, pertanto, necessità di sollevare alcuna questione di legittimità costituzionale, perchè ogni Giudice, nell’applicare la norma relativa alla vaccinazione obbligatoria, deve verificare l’idoneità del vaccino a “prevenire il contagio”.

La questione è se, sul piano costituzionale, il legislatore possa imporre la vaccinazione obbligatoria per finalità diverse dalla tutela diretta della salute collettiva, ovvero a prescindere dalla finalità di prevenzione del contagio ma per soddisfare esigenze di altra natura, per quanto collettive o facenti capo all’apparato pubblico – amministrativo.

La Corte nelle sentenze 14 e 15 del 2023 non offre aperture sul punto, respingendo le sollecitazioni profuse dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana nell’ordinanza di rimessione. 

Nonostante un certo uso mistificatorio della “solidarietà”, rimane l’ancoraggio solido alla tutela diretta della salute collettiva e non al soddisfacimento di interessi pubblici ulteriori.

Si tratta di un tema di grande rilevanza, perchè comporterebbe la possibilità di imporre trattamenti sanitari che vaccini non sono e che, lungi dal tutelare in modo diretto la salute collettiva, avrebbero la funzione di perseguire interessi pubblici di diversa natura, ovvero organizzativi, finanziari, strumentali.

E allora alla Corte, nella malaugurata ipotesi che aderisse a questa impostazione, non occorrerebbe operare una distinzione tra vaccini a mRNA e vaccini a vettore virali, perchè ogni trattamento sanitario funzionale ai suddetti interessi pubblici potrebbe essere imposto.

E’ una tentazione ostacolata dall’articolo 32 della Costituzione, ma un perverso riferimento alla “solidarietà”, richiamato con diversi contesto e finalità dall’articolo 2 della Costituzione, potrebbe condurre ad un annebbiamento del chiaro tenore letterale e sistematico – storico dell’articolo 32 della Costituzione, anche attraverso l’uso distorto del “bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti”.

Le richiamate sentenze 185 e 186 del 2023 aprono, al riguardo, un pericoloso spiraglio al quale è opportuno dedicare un sia pure breve cenno.

Se lo scopo della vaccinazione è la prevenzione del contagio, non c’è dubbio che tale finalità possa essere raggiunta attraverso una vaccinazione “universale”, ovvero una vaccinazione che riguardi le giovani generazioni, come nella normativa Lorezin. Diversamente in tema Covid il legislatore, prima di arrivare all’obbligo di vaccinazione over 50, ovvero uno schema Lorenzin all’incontrario, ha valutato la “natura” della professione  e il “luogo” ove l’attività lavorativa è svolta.

Orbene, la Corte ha sempre reclamato per sé un giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative, ricavandolo dall’articolo 3 della Costituzione.

Nei casi prospettati dalle due citate sentenze della Corte, il richiamo all’articolo 3 appare corretto, perchè le questioni di legittimità costituzionale riguardavano l’uguaglianza di trattamento, ovvero l’obbligo di vaccinazione, a fronte di situazioni diverse e diversamente incidenti sulla diffusione del contagio.

Nella sentenza 185/2023 il caso riguardava un chimico direttore di un laboratorio di analisi anti inquinamento, sospeso con  provvedimento dell’Ordine dei medici  per inadempimento dell’obbligo vaccinale. Il ricorrente lamentava l’irragionevolezza dell’estensione dell’obbligo vaccinale, in quanto la sua categoria di appartenenza non aveva alcuna relazione di cura con pazienti, non svolgeva l’attività in alcun luogo di cura e non si differenziava da  altre attività che all’obbligo vaccinale non erano soggette.

Il legislatore aveva operato il riferimento alle “professioni sanitarie”, categoria già definita per diverse finalità  e che include anche fisici e chimici, ma se lo scopo era la prevenzione del contagio riferito ai luoghi di cura tale inclusione appariva del tutto irragionevole, non avendo il lavoratore in questione alcun contatto con pazienti.

Ancora più eclatante è il caso di cui alla sentenza 186/2023 relativo ad una dipendente ospedaliera la quale svolgeva il proprio lavoro in modalità c.d. smart working e, quindi, se lo scopo della vaccinazione obbligatoria è la “prevenzione dell’infezione da SARS-COV.-2”, appariva irragionevole imporre l’obbligo vaccinale avuto riguardo unicamente alla categoria di appartenenza e senza tener conto delle modalità di svolgimento in concreto dell’attività lavorativa, laddove escludono ogni contatto con pazienti e colleghi sul luogo di lavoro come è evidente nel caso del c.d. smart working.

Occorre ribadire che, in entrambe le vicende, non era in discussione l’efficacia e la sicurezza dei vaccini, ma unicamente la prevenzione del contagio in determinati luoghi di lavoro o, in generale, in qualunque luogo di lavoro.

La conclusione potrebbe essere ovvia: chi non frequenta luoghi di lavoro nei quali si intende prevenire il rischio di contagio non può essere assoggettato all’obbligo vaccinale come chi quei luoghi di lavoro frequenta.

In astratto ed è anche avvenuto in concreto,  il legislatore potrebbe stabilire una sanzione, amministrativa, o anche penale, per chi al luogo di lavoro si reca senza avere adempiuto l’obbligo vaccinale, potrebbe imporre una autocertificazione, anch’essa con responsabilità penale, nella quale si attesti il luogo di lavoro, potrebbe stabilire sanzioni attinenti il rapporto di lavoro,  al limite sancire incentivi per chi si reca al lavoro vaccinato, ma non certamente privare di ogni emolumento chi rimane a casa non vaccinato svolgendo il proprio lavoro o chi lo svolge in luoghi dove non sussiste l’esigenza di prevenzione del contagio, perchè, come afferma il giudice aquilano la legge può imporre un obbligo vaccinale “se e nei limiti in cui sia strumento di prevenzione del contagio”, ma se quel rischio di prevenzione del contagio è escluso a priori l’obbligo vaccinale diventa ingiustificato.

La normativa presa in considerazione nelle due sentenze della Corte costituzionale riguardava la prevenzione del contagio in luoghi di cura, a tutela delle categorie deboli ivi presenti ovvero i malati.

Nel caso del lavoro in smart working o in ambito amministrativo o, comunque, privo in assoluto di contatti con i pazienti, l’obbligo vaccinale era privo di ragionevole giustificazione.

Dalla lettura congiunta delle due sentenze, redatte dal medesimo Giudice, si rileva con preoccupazione la ragione per cui la Corte rigetta entrambe le eccezioni di legittimità costituzionale, ragione che non risiede nella tutela della salute nei luoghi di cura, luoghi non frequentati da entrambi i ricorrenti.

Una possibile decisione poteva essere nel senso dell’irragionevolezza della scelta del legislatore e nella conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale, unitamente all’esposizione di  tutti gli strumenti volti a garantire l’effettività del controllo, ovvero che i luoghi di cura non siano frequentati da lavoratori non vaccinati.

Al contrario la decisione rigetta l’eccezione di illegittimità costituzionale e ritiene che la “ragionevole giustificazione” della normativa anziché risiedere nella “prevenzione del contagio” nei luoghi di cura e di lavoro in generale, consista nell’esigenza di predisporre “un sistema idoneo a garantire la linearità e automaticità dell’individuazione dei destinatari, così da garantire un’agevole e rapida attuazione dell’obbligo e prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa”, (sentenza 186/2023 che richiama sul punto la sentenza 185/2023).

In sostanza, un sistema di identificazione a carattere individuale avrebbe comportato “un aggravio – che il legislatore ha ritenuto insostenibile in termini di tempi, costi e utilizzo di personale altrimenti impiegabile su fronti più urgenti – nella fase dell’individuazione in concreto dei destinatari dell’obbligo, tramite l’accertamento caso per caso, della rispondenza ai requisiti richiesti, oltre che nella successiva fase di monitoraggio e controllo della loro perdurante sussistenza”.

La situazione secondo la Corte era talmente critica che “tutte le risorse, di personale e organizzative, dovevano essere finalizzate alla gestione dell’emergenza pandemica, sicchè il sistema avrebbe mal tollerato, in capo alle singole amministrazioni datrici di lavoro, un’attività di cernita (a monte) e controllo (a valle) delle singole tipologie di attività professionali”.

Si tratta di una china pericolosa, che giustifica l’imposizione di obblighi, ma potrebbero essere anche divieti, in quanto:

– l’amministrazione non è in grado di controllare, giustificandosi  in maniera tautologica un‘inefficiente organizzazione dei pubblici poteri, in un epoca di alta informatizzazione, le cui conseguenze ricadono in termini di limitazioni e sanzioni sui cittadini ed i lavoratori in particolare;

– si paventano “contrasti in sede applicativa”, qualora non sia imposto un rigoroso ed omogeneo obbligo vaccinale ad onta dell’eterogeneità delle situazioni contemplate, come se il diritto del cittadino e del lavoratore di tutelarsi di fronte ad ingiuste pretese dei pubblici poteri e del datore di lavoro non sia una garanzia anche costituzionale, ma un ostacolo da eliminare o ridurre ai minimi termini;

– il legislatore ha ritenuto insostenibile l’”aggravio” di attività che un controllo individuale avrebbe comportato, senza che la  Corte si preoccupi di valutare l’irragionevolezza di tale valutazione, l’incidenza su diritti costituzionale e la conformità ai requisiti per l’imposizione della vaccinazione obbligatoria, configurando l’ammissibilità di una valutazione insindacabile da parte del legislatore che può determinare la cessazione di servizi pubblici essenziali e che non considera l’aggravio imposto, invece, a cittadini e lavoratori.

Una logica perversa che se applicata a luoghi e settori diversi da quelli di cura e sanitari, condurrebbe a divieti, obblighi, oneri imposti a tutti, in maniera generalizzata, per evitare “aggravi” alla pubblica amministrazione e porre questi “aggravi” sulle spalle dei cittadini.

In questa logica “rinchiudere” in casa tutti i cittadini rappresenta la soluzione ideale, non c’è “aggravio” perchè non c’è da controllare alcunchè…o forse tutto…

Con il ragionamento veicolato dalle citate pronunce della Corte ciò che pareva escluso, ovvero che interessi pubblici diversi da quello alla salute collettiva, unico tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, possano essere posti a fondamento dell’obbligo vaccinale, si riprendono prepotentemente la scena normativa:  “aggravio…in termini di tempi, costi e utilizzo di personale”; “consentire un’agevole e rapida attuazione dell’obbligo”; “prevenire dubbi e contrasti in sede applicativa”, non senza arrivare a sgravare totalmente della “attività di cernita (a monte) e controllo (a valle)” le amministrazioni pubbliche,  pervenendo a “rimettere l’attività di accertamento e monitoraggio agli ordini professionali competenti e ai datori di lavoro”.

In tale logica non si comprende perchè l’attività di monitoraggio e controllo rimessa agli ordini professionali competenti e ai datori  di lavoro non possa comprendere, nell’epoca della trasmissione telematica, dell’informatica e dell’immediatezza delle comunicazioni, il luogo di attività, stante la facilità con la quale il datore di lavoro può verificare se il lavoratore svolge l’attività in un laboratorio anti-inquinamento, con nessun contato con pazienti o, addirittura, nella propria abitazione, essendo questo l'”impegnativo compito” che sarebbe spettato alle aziende sanitarie, alle regioni ed alla province autonome.

Nessuno vuole controllare ed allora la soluzione è vaccinare tutti, un ragionamento errato e pericoloso.

Errato, perchè lo scopo è la prevenzione del contagio in determinati luoghi, ovvero quello di lavoro, e, pertanto, laddove non vi sia la presenza dei soggetti che si intendono tutelare (malati) o, addirittura, dello stesso lavoratore, non vi è necessità di alcuna vaccinazione.

Pericoloso, perchè come rientra l’interessa pubblico a non distrarre risorse, secondo la valutazione insindacabile del legislatore, così può sempre rientrare l’interesse pubblico a non avere reparti ospedalieri sovraffollati e la stessa attività di controllo, se diventa interesse pubblico tale da imporre vaccinazioni obbligatorie, può giustificare limitazioni alle libertà di circolazione, di associazione, di riunione, anche queste comportanti per i pubblici poteri ed i soggetti delegati “aggravio” in termini di controllo.

CONCLUSIONI

La giurisprudenza della Corte costituzionale pare essere ossessionata dalla preoccupazione di salvaguardare le scelte del legislatore durante la pandemia e che si sono espresse nella “normativa emergenziale Covid”, qualunque esse siano state.

Questo atteggiamento ha alimentato una serie di considerazioni circa la natura non propriamente “giuridica” di tali “preoccupazioni”, considerando alcune contestuali nomine di giudici costituzionali di matrice presidenziale e che hanno riguardato consulenti giuridici del Governo al quale quella stessa normativa, poi oggetto di esame da parte della Corte, deve ricondursi.

Si è evidenziato che al tempo delle decisioni la “normativa emergenziale Covid” nella sua parte più significativa (vaccinazione obbligatoria e sospensione dal lavoro) non era più in vigore, ma questo avrebbe dovuto “rilassare” la Corte e renderla  più disponibile a formulare una serie di consigli e raccomandazioni, a richiamare maggiore cautela nel rispetto dei diritti costituzionali coinvolti,  ad evidenziare la necessità di un forte controllo giurisdizionale diffuso.

Occorre rilevare con delusione che tutto questo è mancato e la Corte si è letteralmente “appiattita” sull’affermazione, formulata da suoi autorevolissimi componenti, di avere “ascoltato la scienza”.

La stessa scienza che è verificata, analizzata, considerata nelle sue implicazioni giuridiche dalle successive sentenze di merito e che si mostra essere una scienza divisa, in continua evoluzione nella sue acquisizioni, almeno in parte ma in modo evidente condizionata da interessi economici e politici.

A scienza la Corte costituzionale non ha posto alcun limite, abdicando alla funzione di garante della carta costituzionale ed alla quale ha delegato, al limite del paradosso, la funzione legislativa.

Alla giurisprudenza di merito che sta emergendo con lo sforzo interpretativo dei giudici e con il coraggio, l’impegno personale ed il costo umano ed economico di chi a quella giurisprudenza ha fatto ricorso, spetta il compito di collocare la “normativa emergenziale Covid” nell’ordinamento giuridico in armonia con i principi, anche costituzionali, che lo strutturano.

La Corte non si è limitata a “seguire” la scienza, la Corte lo ha fatto in maniera acritica, rinunciando al ruolo che le è proprio, ritenendo le indicazioni della scienza richiamate nelle sentenze, ormai palesemente errate e prive di alcun fondamento, una sorta di aberrante fonte di diritto, che non deve rispondere a niente ed a nessuno ma che viene acriticamente recepita mentre opera una soppressione dei principi di civiltà giuridica.

La prospettiva di sviluppo futuro oscilla tra due poli:

– da una parte, la forte ripresa della consolidata giurisprudenza in materia di vaccinazione obbligatoria, il che offre ai giudici la possibilità di applicare con rigore i principi costituzionali, baluardo verso una tentazione di governo tecnocratico e scientista, in chiave tendenzialmente antidemocratica ed autoritaria;

– dall’altra, le brecce che si aprono nell’individuazione delle finalità della vaccinazione obbligatoria si traducono nella possibilità per il legislatore di perseguire finalità diverse dalla tutela diretta della salute collettiva, finalità che, almeno in certe   non del tutto argomentate affermazioni, la Corte tende a ritenere insindacabili e che approdano inesorabilmente a ridurre e ledere quelle stesse libertà costituzionali che la Corte è chiamata a tutelare.

In questo contesto, molto più ampio di una questione giuridica, vi sono sentenze di giudici che, per il loro rigore motivazionale e la tutela dei diritti che realizzano, meritano incoraggiamento, sostegno e diffusione.

Milano, 16 febbraio 2024