Hanno fondato la città dell’odio!

COMUNICATO

Se l’odio è il sentimento, il desiderio e la volontà di nuocere, distruggere, rovinare fino alla morte, spesso accompagnato dalla sensazione che ciò sia giusto, a prescindere da leggi o da colpe, si può tranquillamente dire che gli ultimi due anni dominati ossessivamente dalla ipnotica propaganda pandemica, hanno sparso generosamente l’odio nella nostra società.

Il gesto del seminatore di zizzania è stato ampio, ripetuto ossessivamente, tanto da entrare in noi spazzando via, alla fine, qualsiasi ostacolo. Ne è nata una vera e propria epidemia d’odio, odio ipnotico ma tremendo.

Uno dei problemi è che, così, è stata instillata nella popolazione una architettura di pensiero, ma sarebbe meglio dire un potente schema di reazione emozionale, che può cambiare il suo oggetto in modo indefinito. Si può, cioè, odiare chiunque, senza una ragione definita ma in maniera ostinata, purché risponda a certe caratteristiche immaginarie, di fatto decise e determinate da chi mantiene il potere dei media. L’odio è diventato, così, un fortissimo legame sociale che è, insieme, anche un terribile, potentissimo dispositivo di potere il cui scopo è il dominio e il controllo di tutto e di tutti.

Cerco di entrare nell’analisi, che non vuole essere né psicologica né sociologica ma intende far affiorare una sorta di archetipo antropologico e morale. Con il bombardamento quotidiano e ripetuto all’infinito contro i cd. “no-vax”, la base della convivenza civile è ruotata su sè stessa e la diffidenza generalizzata e indistinta ha esautorato e sostituito la pubblica fides. La diffidenza è rapidamente cresciuta in rancore, in risentimento ed alla fine in odio senza ragioni e senza pietre di confine.

Non sottolineo l’illogicità ed insensatezza della qualificazione “no-vax”. È un puro insulto usato come arma per semplificare l’aggressione di chi non ha accettato di considerare, acriticamente, il normatore positivo come la fonte ultima del diritto.

Chi non ha messo a disposizione il suo corpo, e prima la sua libertà e la sua umana dignità di persona libera, ha ottime ragioni solidamente sostenute da un diritto incomprimibile e affermato in tutte le sedi, per cui lo Stato non è né il signore della verità, né il padrone dei corpi dei suoi cittadini. La legge dello Stato si radica in un ordine che precede e giustifica ogni ordinamento positivo, un ordine che, se viene misconosciuto o violato dal potere, trasforma e degrada l’ordinamento in disordine e in violenza organizzati.

Tornando alla città non più costruita su una fides basilare e generalizzata, su atteggiamenti che chiameremmo di amicizia civica, ma sull’odio. Qui il sentimento che l’altro, solo perché difende la sua umanità, è un pericolo mortale, è chiaramente una stortura insopportabile, ancor più insostenibile dal momento che ciò che fa della sua alterità una diversità senza cittadinanza, è definita da un’architettura di parole che non va oltre la manipolazione comunicativa.

Si pensi, ad esempio, che l’inversione dell’onere della prova, per cui il sano deve dimostrare di non essere contagioso, significa affermare un anti-principio che segna la morte della civiltà giuridica. Il “no-vax”, categoria indefinibile se non puntando il dito, va ben oltre il nemico, che può avere qualche ragione per desiderare di uccidermi o razziare i miei beni, di abusare della mia persona, onde da lui debbo legittimamente, ma anche misuratamente, difendermi. Il non vaccinato merita la cancellazione fisica e giuridica; non è più un essere umano! Ci ricorda niente?

Si noti che un’offesa intessuta di nonsenso è ben più gravida di violenza di un’offesa motivata dal perseguimento di un qualche vantaggio. Quante parole, dette non da semplici cittadini ma da autorità pubbliche o da pretese autorità scientifiche, hanno sostenuto che i “no-vax” dovessero essere privati di ogni diritto e ben prima della stessa condizione di soggetti di diritto. Come dimenticare quel ministro che ha augurato loro di soffrire oltre la soglia della sopportabilità? Cosa questa non immaginabile nemmeno per il più efferato assassino, che comunque continua a godere dei diritti di difesa, di avere un equo giudizio, una punizione proporzionata e comminata con umanità. Come si è arrivati a tale obbrobrio? Ed alla passività di tanta parte della popolazione che si è compattata dietro a tale sproposito? E al tradimento della loro missione della maggior parte dei detentori delle varie forme di potere, comunicativo e non?

Ma la domanda sottostante è: ci rendiamo conto che abbiamo capovolto i fondamenti della civile convivenza, fondandola e intrecciandola con l’odio? Con il desiderio di annientamento dell’altro che ha preteso di affermare e difendere i suoi diritti? Diritti di cui neanche lui può disporre, perché lo precedono, come attesta la sana voce della coscienza?

Chiediamoci: che città è mai questa? Cosa ha generato quel rancore e quell’odio? La paura di morire ha sicuramente giocato il suo ruolo, concretizzandosi nell’altro infetto e contagioso per decreto e per dogma della pubblica opinione. La paura di morire, o prima di ammalarsi, cresce sproporzionatamente, però, solo in un uomo ed in una società senza speranza, in cui l’uomo si autocomprende come un “tubo digerente”! Ecco la città della paura e del mascheramento generale, dei lasciapassare di guerra, città non solo insensibile alle contraddizioni che possono dissolverla ma che si aggrappa ad esse perché si immagina che, così, avrà la garanzia della sopravvivenza! La pura contraddizione del distanziamento sociale, contradictio in teminis poiché la socialità è incontro, conversazione, cooperazione ed anche contatto è diventata l’ovvio del senso comune. Si pensi all’ostentazione del salutarsi affrontando i pugni chiusi, gesto intrinsecamente gravido di violenza, gesto che sostituisce presuntuosamente lo stringersi delle mani che dice simpatia, fiducia, deposizione delle armi, alleanza. Ciò è scritto nei nostri corpi, non nei manuali di diritto naturale e nei nostri cuori!

L’affrontamento dei pugni o dei gomiti, però, è ancora un contrasto per opposizione, la cui violenza potenziale è manifesta. Molto più insidioso è il mascheramento del volto, non importa se per ragioni sanitarie vere o presunte. Il volto mascherato è l’inverso del volto, nel senso che è una frazione di volto che si sostituisce all’intero del volto stesso. A quel punto, l’altro mascherato, rendendosi irriconoscibile come mio simile, non potendo ad esempio più sorridermi, mi oppone un volto falsificato e ingannatore. Anche il rapinatore si maschera per non farsi riconoscere; così mi induce in errore sulla sua identità ma lo mostra apertamente e, in questo senso, non inganna, non mente. Il mascheramento per fini civici, stravolge l’idea stessa di volto e chi si mette la maschera lo fa per farsi riconoscere. Si verifica, in questo caso, la formula della menzogna, per cui questa è l’inverso dell’opposto di se stesso o dell’individuo posto in posizione di riferimento. Si crea quindi un errore, che si oppone alla verità, e lo si mette al posto della verità, che così viene non semplicemente negata o occultata, bensì capovolta. Si sprofonda in un mondo immaginario, in cui tutto è stravolto ad iniziare dalla socialità.

Approfondiamo lo stravolgimento della socialità. La struttura dell’immaginario proiettata senza cautele su di essa, significa abbandonarla alle forme più varie di violenza. Prendiamo ad esempio la violenza del distanziamento sociale oppure quella, più sottile ma più intensa, dell’uso della maschera: ivi si ripete la struttura della menzogna.

È in gioco innanzitutto una menzogna relazionale e sociale e per questo inizialmente impalpabile, apparentemente innocente, ma sviluppando le sue potenzialità si manifesta in tutta la sua violenza. Per questo vivere nella verità è il principio irrinunciabile della vita associata. La struttura dell’immaginario si comunica – passando per la menzogna – a tutte le strutture di azione e di relazione che si dissociano dalla realtà e insieme si oppongono alla verità, a tutte le forme di relazione e di socialità (compreso il diritto) che ne emanano, a tutti i vizi e capovolgimenti del bene e del bene agire ed operare nella sua proiezione immaginaria.

Qual è, insomma, il risultato della proiezione della civica fides nel campo degli immaginari? È il suo doppio capovolgimento in ciò che la nega e la fraziona, ossia è la sua sostituzione con l’ipocrisia ed il camuffamento. La negazione della fides è la sua proiezione oltre lo specchio, cui segue la confusione e quindi sostituzione della realtà con la sua immagine. Ecco l’affermazione: il vaccino è salvifico! È un dovere civico! È un atto d’amore! Il risultato è il civico ribrezzo, il rancore per l’altro che non si sacrifica all’idea del vaccino, e non sacrifica al vaccino come ad un idolo, a prescindere da qualsiasi condizione di fatto.

Occorre chiarire un punto importante, ossia perché chi è entrato nella trappola dell’ipnosi di massa e ne ha fatti propri i precetti, finisce per odiare chi ne è rimasto fuori [1]. La causa del rancore può essere ritrovata in varie dinamiche psicologiche, come la paura della morte, o sociologiche, come il meccanismo del capro espiatorio. Ritengo, però, che vi sia una causa strutturale ben più profonda, che non esclude i suoi affioramenti fenomenici. La ragione del risentimento che si fa rancore e poi odio, va cercata nella prigionia nel mondo immaginario, se vogliamo nell’incapacità di distinguere il reale dal virtuale. Lo scollamento dalla realtà prodotta dall’immaginario seduce, in quanto dà l’illusione della liberazione da qualsiasi limite. Tutto diviene possibile ed infatti il gioco in cui le immagini si rincorrono senza fine, non ha limiti.

Il problema, però, è che, una volta immersi nell’immaginario, ne consegue l’impossibilità di fare qualsiasi cosa di sensato, anche di vivere senza maschere o inganni. Il frutto è seducente ma appena gustato svela l’amara dissociazione dalla realtà che si trascina come un’ombra, con il conseguente capovolgimento immaginario fin nelle vicende più ordinarie della vita. Diviene illusorio qualsiasi tentativo di fare i conti con le situazioni più difficili, come il dolore, la sofferenza, la morte, ma anche il poter gustare con semplicità le vicende più belle. Di conseguenza, l’altro che non galleggia nelle illusioni dell’immaginario, viene percepito come colui che, avendo ancora i piedi attaccati alla terra, rende visibile, attesta e testimonia, la situazione di confusione ed inconcludenza causata dalla trappola dell’immaginario. Questo scomodo altro rompe il perimetro dell’immaginario in cui l’ipnotizzato si illude di vivere, gli toglie la cintura di sicurezza e quindi è, per decreto, un pericolo mortale e da annientare.

Tale “percezione” è irriflessa ma automatica. Così l’uomo e la società sprofondano nell’immaginario; gli individui hanno l’illusione della libertà (perché l’immaginario non pone limiti), ma entrano nel risentimento e nel rancore perché “sanno” di essere disancorati dalla realtà. Chi glielo ricorda fa da catalizzatore e da recettore di tutto il suo risentimento e rancore e diviene oggetto di odio absolutus, incondizionato.

Ora, chiunque, in qualsiasi situazione, potrà essere caricato di quel mantello. Una volta impressa nelle menti e nei cuori, tale sindrome di menzogna e di rancore è forma mentis impressa come un timbro, come un sigillo. Per questo non è più legata ad un oggetto preciso ed identificabile inequivocabilmente, ma si può riprodurre a carico di qualsiasi situazione od oggetto faccia al caso suo, ossia a chiunque faccia presente la realtà, a chiunque la attesti e costringa ad uscire dalla bolla immaginaria. Il mondo immaginario diviene una sorta di palcoscenico dalla porta girevole, in cui alcuni personaggi escono, mentre ne entrano altri, giocando lo stesso identico ruolo. Storie e responsabilità personali sono irrilevanti, basta un’etichetta, un codice a barre, un qrcode, per identificare il bersaglio, a prescindere da qualsiasi responsabilità morale e da qualsiasi diritto.

A questo punto, c’è un bivio: è sempre possibile, seppur difficile e non senza l’aiuto altrui accettato umilmente, tornare faticosamente, alla realtà.

È qui che risuona in tutta la sua forza l’annuncio evangelico: la Verità vi farà liberi (Gv. 8. 32); oppure il prigioniero dell’immaginario, dovrà sopprimere, idealmente, psicologicamente, socialmente, giuridicamente ed alla fine anche fisicamente, chi gli rende chiare ed incontrovertibili le ragioni del suo malessere profondo. Ecco il rancore e l’odio, che non si limita al “no-vax”, ma colpisce chiunque, in situazioni di prigionia immaginaria, richiami all’incomprimibile forza della realtà. Si aggiunga che l’immaginario, esattamente a causa della struttura dei numeri immaginari in esso latente, si trascina dietro, come un’ombra impalpabile quanto incancellabile, un tasso di entropia altissimo, vale a dire un aumento progressivo del disordine al cui termine c’è inevitabilmente la morte del sistema che ha fatto suo l’immaginario come principio primo di ogni sua legge e movenza.

Questa è la città della menzogna; questa è la città dell’odio!

Vogliamo viverci? O vogliamo tornare alla Città di Dio? Che è anche l’unica dimora in cui l’uomo può trovarsi, semplicemente, a casa?


[1] A rigore e per inciso, l’odio in quanto mutua la struttura del numero immaginario (per cui x=-1/x ) e quindi come espressione o almeno parente stretto della menzogna, non ha nulla a che fare con il giudizio di negatività morale di un’azione. Se questo è fondato e corretto, richiama alla realtà ed ha valenza liberante ma, e proprio per questo, suscita l’odio sfrenato di chi vive nella menzogna, ossia di chi galleggia nell’immaginario ed è come drogato da esso.