Contrordine, compagni!

Le grottesche capriole di Speranza e Lamorgese: dietrofront sulla mascherina

COMUNICATO

Il governo ha recentemente modificato la circolare dell’11/5 scorso relativa al “Protocollo sanitario e di sicurezza per lo svolgimento delle consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2022”, dove era imposto obbligatoriamente l’uso della mascherina, emettendo in  data 8/6 un addendum dove il bavaglio, tanto caro al ministro Speranza, diventa solo “fortemente raccomandato”, quindi facoltativo.

Non si può non applaudire, l’unica manifestazione di opinione ormai ammessa da questo democraticissimo governo, alla capriola degna di un artista del circo. Non si rende conto, il nostro ministro, che così ha ridicolizzato, per l’ennesima volta, le istituzioni che, si dice, egli rappresenti? Per amor di patria (esiste ancora?) lasciamo perdere.

Ci si può chiedere il perché della splendida marcia indietro. Forse qualcuno ha suggerito che le violazioni di legge, oltre che della nostra moribonda Costituzione, erano talmente enormi, evidenti e pacchiane, che avrebbero trascinato con sé il sicuro annullamento delle consultazioni elettorali e del referendum? Ognuno può farsi un’idea per conto suo; certamente il prestigio del governo non ne esce rafforzato. 

Solo a titolo di esercitazione, si ricordi che quell’imposizione, inventata fuori da qualsiasi riferimento serio alla produzione della normativa statuale, avrebbe violato in più punti la Costituzione italiana e, tanto per non farsi mancare nulla, anche la normativa penale vigente. Con un atto amministrativo di terzo o quarto ordine! E ci parlano in maniera roboante di etica delle istituzioni, di etica pubblica, di etica politica!

Francamente il popolo, se ancora esiste, avrebbe tutto il diritto, sacrosanto, di essere stufo di essere trattato come un cumulo di deficienti. Tanto per sfiorare un aspetto: cosa sarebbe rimasto del diritto di voto, la cui tutela costituzionale è un pilastro del regime democratico?

La pretesa di normare l’accesso ai seggi, senza averne nessuna facoltà ed in assenza di qualsiasi presupposto giuridico e insieme qualsiasi straccio di base “scientifica”, avrebbe compiuto una violazione della logica di fondo della nostra Repubblica. Ed anche una infamia politica, in quanto scoraggiato la libera espressione del voto. E questo in un periodo in cui la disaffezione alle urne, certamente non priva di motivazioni, cresce al punto da mettere in pericolo la tenuta delle istituzioni democratiche? Che cosa vogliamo di più?

Solo un popolo che non è più tale, ma è una massa indifferenziata ripiegata sulle sue paure igienico-sanitarie avrebbe potuto accettare un simile obbrobrio. In ogni caso, sarebbe bastato presentarsi tutti, ma proprio tutti, senza mascherina, e questa farneticazione sarebbe fallita. E sarebbe stato un modo chiaro e forte di rivendicare la sovranità popolare, che, bene o male, è il cardine del nostro ordinamento costituzionale.

La capriola circense ha, inoltre, evitato l’ennesima violazione della normativa penale. Questa, per quanto largamente ormai disattesa, stabilisce che circolare mascherati è un reato e tanto più lo è presentarsi mascherati ai seggi elettorali, dove l’identificazione del votante è semplicemente una necessità logica, prima che giuridica. Può un ministro della Repubblica imporre di compiere un reato? Per esercitare un proprio primario diritto politico?

La risposta non va nemmeno data e non possiamo ignorare che subire anche questa vessazione sarebbe stato un segnale politico all’inverso, ossia negativo: avrebbe significato dare al potere politico, ormai galoppante verso il dispotismo, il via libera definitivo, avrebbe significato accordargli quello che chiede ormai da tempo, la più becera e pavida sottomissione. Forse è per schivare tale rischio di autodelegittimazione, che il governo ha fatto marcia indietro? Per tenersi stretto a una delle sue tante foglie di fico?

Chiediamoci: questa sarebbe la Repubblica che vogliamo? la Repubblica in cui vogliamo vivere? Ormai il governo ci ha tolto anche la possibilità di emettere la sentenza che, in genere, si lascia, perché ardua, ai posteri.

Milano, 12 giugno 2022