Conformismo e conformità al potere, non solo a Sanremo

«Chi vuole in sé il fuoco dell’amore di Dio, scacci da sé il fumo delle cose del mondo».

San Giuseppe da Copertino

La ribellione verso Dio si traduce immancabilmente in asservimento agli uomini, assumendo una forma molto precisa: quella del conformismo mascherato da ribellione.

Sempre di ribellione infatti si deve parlare nonostante essa non si scagli di certo, come si pretende far credere, contro quei poteri cattivi che di volta in volta si sono imposti nelle differenti epoche.

Viceversa, chi vuol servire il buon Dio, è sempre investito da un’altra forma di ribellione (se così vogliamo chiamarla): è il rigetto nei confronti del “mondo” (inteso questo in senso biblico), nei confronti delle sue logiche, dei suoi poteri corrotti, ipocriti, della sua arroganza, del suo anelito smodato e ossessivo ai piaceri materiali. I santi martiri rappresentano il miglior esempio di un siffatto “spirito ribelle”, ed è per questo che ne assumono consapevolmente le conseguenze, in attesa di ricongiungersi, in perfetta letizia, al Creatore.

Il festival di Sanremo è un po’ un emblema di questo asservimento al mondo che poi si traduce in asservimento al potere dominante malgrado, in realtà, costituisca solo un granello, un puntino rispetto a ciò che avviene, ogni giorno, praticamente in tutti i settori della società occidentale che non siano esposti ad una tale pressione mediatica e dove si può dunque agire al riparo da occhi indiscreti. Stiamo parlando di un’ideologia malvagia, dilagante, che, dissimulando se stessa, pervade la nostra quotidianità istituzionale, mediatica, educativa, artistica, e spazia in ambito militare, economico, legislativo, alimentare, sanitario… perfino in ambito religioso. Un’ideologia dominata dall’uomo senza Dio che sottomette, stordisce, manipola e soprattutto spaventa l’uomo comune, il cittadino moderno.

Se pensiamo che Sanremo, così intriso di propaganda, è in realtà poca cosa rispetto a ciò che avviene quotidianamente in altri ambiti, o nell’ambito della stessa televisione, non possiamo che sentirci travolti da un brivido di sconcerto!

È nel buio della notte che si producono e moltiplicano i peggiori abusi e il Festival non può vantare una tale riservatezza poiché ha sempre tutti i riflettori puntati su di sé e, come se non bastasse, viene trasmesso in mondovisione. Peraltro, come servizio pubblico, finanziato cioè con i soldi dei contribuenti, sarebbe naturalmente tenuto a mantenere un minimo di decoro e di equilibrio.

Eppure…

Nonostante ciò, il Festival rimane un compendio dell’ideologia del tempo presente, l’ideologia, come si diceva, della ribellione a Dio e dell’asservimento ai potenti del mondo.

Ma ripartiamo da quest’ultima espressione: “i potenti del mondo”. Un’espressione che provoca di solito in chi è ad essi asservito, una reazione che oscilla tra l’indignazione, l’atto di scandalizzarsi, e lo scherno nei confronti di chi osa farne menzione. E a quel punto si attiva la macchina del fango; un meccanismo potente che si serve, tra le altre cose, di uno strumento molto preciso: le etichette infamanti. Nel nostro caso, chi volesse porsi delle domande su ciò che abbiamo chiamato “i potenti del mondo” (fatta eccezione per alcuni casi ben specifici naturalmente, con ogni riferimento casuale) si ritroverebbe appioppata la malvagia etichetta del complottista (del terrapiattista in gergo ideologico).

E se il Festival si è aperto con l’inno nazionale e alla presenza del Presidente della Repubblica, di cui peraltro conosciamo gli orientamenti (in relazione alla politica estera ad esempio), questo fatto non può che stimolare molti tra i suddetti “disturbatori complottisti” a porsi delle domande più specifiche: esiste forse un filo conduttore in tutto questo, alla luce del fatto che è stato letto in pubblico un comunicato del presidente dell’Ucraina o di chi ne fa le veci? Vi era forse nella mente di chi ha ideato la scaletta del Festival la volontà, ad esempio, di strumentalizzare il nostro inno (che, non dimentichiamolo, rimane un grido di guerra, una chiamata alle armi), con il suo solenne “siam pronti alla morte!”, alla luce della crisi internazionale? Si sta forse cercando di forgiare l’opinione pubblica in favore di una determinata prospettiva? L’ultima puntata del Festival si è aperta (e il cerchio si è chiuso) di nuovo proprio con l’inno di Mameli, eseguito questa volta direttamente dalla banda dell’aeronautica militare. Alla fine dell’inno il generale dell’aeronautica è stato invitato a parlare e, fra le altre cose, ha affermato, tra un sorriso e l’altro, di voler sostenere l’Ucraina nel conflitto contro il cattivo, innominato, tiranno russo. Nel caso in cui qualcuno non avesse ancora capito l’antifona, come si suol dire.

Ma a quel punto il gioco è fatto. Il disturbatore terrapiattista è individuato e adeguatamente etichettato o, bene che vada, trattato da guastafeste (domani forse da disertore? con tutte le conseguenze del caso?).

Ma andiamo avanti.

Sempre secondo la medesima logica, il nostro guastafeste si chiederà anche cosa ci facesse un cantante che si fa chiamare “Salmo” ad eseguire il brano “Diavolo in me” di Zucchero in un contesto scenografico che ricorda le fiamme dell’inferno (dello stesso genere rispetto a quello che si vedrà nell’esibizione dell’ormai celebre Achille Lauro). Anche in questo caso gli sbufalatori, direttamente dalla scuola di quei cani da guardia che si fanno chiamare fact checker “indipendenti”, non esiteranno a prendere per folle, per bigotto e quant’altro, quel particolare, cattivo terrapiattista, che non ha mai dubitato un solo attimo della sfericità della terra.

Di certo, quest’ultimo si porrà altresì delle domande sul significato di quei sinistri orpelli indossati da Chiara Ferragni, si chiederà se il colore della pelle della campionessa di pallavolo Paola Egonu non sia stato per caso oggetto di strumentalizzazione al fine di far passare un determinato messaggio. Si chiederà, ancora, se i gesti volgari di Rosa Chemical e di Fedez (lui, ancora una volta!) siano stati un fatto casuale, inatteso o, al contrario, programmato fin dall’inizio. Si accorgerà, nel corso della serata delle cover, che soprattutto i cantanti dello stesso sesso, fatti mettere in coppia, si sono guardati intensamente negli occhi mentre pronunciavano le più accalorate frasi d’amore del brano eseguito. E si porrà di nuovo la solita domanda: si tratta di un fatto casuale? Com’è possibile che, fatta eccezione per qualche raro dettaglio, nulla mai si discosti da un modo di concepire le cose appartenente ad un determinato e preciso settore della politica internazionale? E, per questo, dovrà sperare di non finire, ancora una volta, tra le grinfie di qualche fact checker indipendente, con tutto ciò che questo potrebbe comportare.

La verità è che un tempo il nostro “ribelle conformista” doveva fronteggiare la reazione sinceramente scandalizzata della vecchietta che si recava quotidianamente a messa o, tutt’al più, dell’anziano prete di campagna che, pur armato di buone intenzioni, non aveva di certo gli strumenti per poter fronteggiare l’imporsi di un’ideologia in piena espansione che si presentava come il “nuovo”, bello e buono a danno del “vecchio”, brutto e cattivo. Oggi il nostro falso eroe deve sovente vedersela con degli intellettuali, esperti titolati, capaci di diffondere con efficacia ciò che sostengono, pienamente consapevoli dell’inganno che si nasconde dietro a questo falso progressismo. Essi devono peraltro, il più delle volte, limitarsi a mettere in evidenza, in modo descrittivo, dei dati di fatto che si commentano da soli.

È questa la ragione per la quale oggi, il potere fa fatica a mantenere quell’immagine di amore per la libertà che poteva simulare fino a qualche decennio fa, e si trova costretto a dover prendere apertamente quella stessa linea censoria, autoritaria che sembrava aver avversato con tanta foga in precedenza e che passa necessariamente anche per la propaganda totalitaria, quella che utilizza  come strumenti anche manifestazioni che, come nel caso di un Festival canoro, dovrebbero occuparsi di tutt’altro.

Giovanni Zeta